“Perché non siamo fatti della stessa materia del congedo”- Heidegger
Caduta, ancora una volta, oh non guardarmi
così!- parole come crepe sul fondo- insetti
striscianti come ultimi singhiozzi morenti.
Lui arrivò così, dal nulla, come soffiano certi
venti all'improvviso- in mezzo alla strada, in mezzo alla vita- venne e non lo
vidi arrivare. Venne e non se ne andò più, se non con me, lungo
strade-cantieri-parchi-buio-solletico-grida-neve-foto-silenzi-versi-dimenticanze.Venne
per accogliere farfugliamenti e perdizione.
Senza lacrime sul suo pavimento piansi le
paure più segrete- oh quale silenzio nel
suo stringermi la testa, come a voler sentire di più, sempre di più. Mi
raccolse ai lati della strada ubriaca, chiuse i sui confini al mondo per me e
ne creò uno più immenso. Fu il corpo folle nella sua inflessibile
ragionevolezza sul quale scaricai impulsi elettrici per curarmi, oppure fu solo
il modo che quelli come me hanno per dire “amore”.
Mi stupivo come d'improvviso ci trovavamo
insieme, seduti da qualche parte, cani-polline-urla di
bambini-bici-caffè-fogli-caramelle-semaforo rosso- e lui c'era, spontaneo come
la mia solitudine, senza trambusto entrava ed usciva in me, come il sole nel
cielo- e chi può dire se il sole appartiene al cielo oppure il cielo al sole o
si appartengono e basta- non sapere non era una colpa con lui.
Si arrabbiò con le sillabe- pensieri dal
fondo del pozzo- della mia bocca sincera e incapace. Si nascose dietro nuvole
di fumo, poi concentrando occhi e mani (senza sforzo) sul destino, ritornò. Il
mio muso prepotente e confuso, il suo naso rigido e delicato, si fondevano a
volte, formando il viso perfetto.
Gli feci la barba, mi asciugò le lacrime, lo
curai da malato, mi preparò il caffè, lo odiai, mi odiò, cucinò due uova per
saziare la mia fame, lo guardai negli occhi per saziare la sua, ma chissà se
capì che fui io ad esserne più felice.
Musica di luna- musica al mattino a piedi
scalzi- musica a notte fonda sussurrata e goffa- musica d'incontro- musica di
distanza-musica di campane nelle ore troppo frettolose- musica stonata in mezzo
a strade desolate. Nessuno scrisse mai una nota su carta, ma di tutta questa
storia, non si può ricordare altro che una sinfonia perenne che sale al parco
la sera, mentre tutto si svuota e il cielo respira liberamente stringendo al
petto campanili e alberi.
Lo incontrai come s'incontra uno
sconosciuto, era solo una lettera, G. Lo conobbi come si conosce la verità, con
timore, silenzi, nostalgia, stupore, crudeltà. Lo dimenticai ogni volta come si
può dimenticare l'Essenza.
Dormì fuori dalla mia porta, io aspettai
l'alba furiosa, rubò la luna alla mia finestra, gli regalai anche quella, con
l'indice svolazzante ed incerto- sul suo profilo, quante notti a non toccare
terra!Mi portò dentro il ventre della balena. Si coalizzò con la mia pancia. Mi
regalò una giraffa mistica. La chiamai Olanda.
Seduti dentro la bocca di un angelo, con la
lingua a toccar terra, mi guardò con disprezzo, mi morsi il labbro e i venti si
fecero folli e freddi sotto la pelle, erbacce s'aggrapparono alla lingua e un'immobilità
mortale mi prese. Quale malvagità può compiere un bambino se non ripetere
ancora la verità?!
“Ma ti amo...”- dissi
“Oh, qualcosa si è rotto da quando hai
distrutto la sacralità dei nostri luoghi”
Ho profanato i tuoi luoghi sacri? Oh,
deridimi e scomunicami! Vivrò ricostruendo su fogli, templi da regalare a te e
a me- insieme- finché non riempiremo le dita l'uno dell'altra, e sarà una nuova
epifania.
Inorridisce ai miei silenzi.
“Io soffro”- grida come un bambino
orgoglioso e triste, senza accorgersi della mia angoscia, spinta ad una ignota
ricerca, ad un luogo senza luogo. Correre per non arrivare. Come l'acqua del
fiume che scorre, solitaria, e non può fermarsi, si ribella a volte, attacca le
sponde, s'aggrappa agli argini, solo per godersi un'alba nell'immobilità che
ama, ma poi sfinita, s'abbandona al destino e scorre...e lui è il letto del fiume- ancora triste-
chissà se comprende?!
“Verrà il tempo per noi”- disse, mentre una
giraffa s'aggirava triste in mezzo alle strade vuote della metropoli.
Non fu mai addio, giacché risveglio dopo
risveglio, siamo ancora seduti qui, sulla lingua dell'angelo, finché non sarà
di nuovo, il nostro tempo per camminare.