Dalla finestra del bagno si sentiva un forte
profumo d’incenso. Era Veronica, la vicina del piano di sotto. Se ne stava sempre
nel suo cucinotto a fumare. Spesso accendeva dell’incenso. Il profumo si spargeva
in tutto il cortile interno. L’ora di pranzo è sempre un’ora desolante, pensò
Eveline. Se ne stava seduta sul water a studiare. Era un modo come un altro per
crearsi una scappatoia dalla routine casalinga. Lei di casalingo non aveva
granché. Questo certe volte la faceva sorridere. Altre volte solo una bottiglia
di vino e del sano rimpianto risolvevano la cosa.
D’improvviso una porta sbatté al terzo piano e si
sentirono i passi della nuova coppia trasferitasi nel palazzo. Lei era
incinta e dimostrava una 40-ina d’anni. Lui sembrava un ragazzino. Qualche
giorno prima mentre parlava con Veronica e Matteo sul ballatoio loro erano
passati, ma Eveline non fece domande. Non nutriva nessuna curiosità verso la
vita degli altri. Questo a volte la preoccupava, a volte la faceva sentire
leggera.
“Hai preso le chiavi della bici?”- chiese la donna in fondo alle scale.
“Sì, allora vuoi che ti accompagni oppure no”- fece
lui con dolcezza.
“No, cioè se vuoi…”- disse lei.
Eveline sorrise, tipica risposta da donna, pensò.
Appoggiò il libro sulla lavatrice, aprì il rubinetto
del lavandino e si sciacquò la faccia.
Mancava ancora molto alle 19.00 e una leggera
sensazione di angoscia la prese allo stomaco.
Forse dovrei fotografare ogni angolo del palazzo,
pensò. Mi dispiacerà andarmene da questo posto. Prima o poi, certo, doveva
capitare, ma mi mancherà.
Si sedette sul divano in sala e cercò di
studiare ancora. La sala era spoglia, niente più quadri alle pareti, niente più
dischi e soprammobili. La cosa la faceva sentire stranamente bene. Dalla strada
arrivava un gran brusìo. Era un settembre caldo, davvero caldo. Questa anomalia
ha fatto impazzire la gente, bisbigliò.
Sul tavolino da salotto c’era il segno del bicchiere
della sera prima. Riabbassò lo sguardo sul libro. Poi si alzò di scatto e prese
uno straccio. Pulì il tavolo.
Non era necessario ma ormai è fatta, disse.
Chissà se lui se lo sarà ricordato, si chiese
sospirando. Se se ne ricorderà quando rientra questa sera allora rimango. Se se
n’è scordato me ne vado.
Mise su Leonard Cohen ma la musica stonava con il
suo stato d’animo. Sentì il bisogno di uscire sul ballatoio e fumarsi una
sigaretta. Erano solo le 16.00, di bere non se ne parlava ancora, nossignore.
“Carla, come va?”
“Ciao Eveline, bene tu?”
Carla era una ex insegnante. Da giovane se l’era
spassata con il suo compagno e un gruppo di artisti in giro per l’Italia e il
mondo. Ora lei continuava a reinventarsi, bevendo troppo e scegliendo relazioni sbagliate. Se arrivo a 60 anni come lei, pensava Eveline, non chiedo
di meglio. Carla dava a credere a tutti di vivere come una buddista, il suo
atelier era completamente spoglio, muri
bianchi, un divano, un tavolo. Ma Eveline sapeva che nascondeva la televisione
dentro l’armadio a muro, sotto un lenzuolo. Questo le rendeva la donna molto
più simpatica.
“Vieni, ti vanno due chiacchiere?”- chiese Carla.
La risposta giusta era no, a Eveline non erano mai
piaciute le chiacchiere. Un tempo un vecchio amore le aveva detto che parlava
solo per citazioni, che non era mai sincera. Questo l’aveva ferita a tal punto
che il suo inconscio aveva deciso di rimuovere ogni citazione che conosceva. L’aveva
anche traumatizzata abbastanza da renderla incapace di chiacchierare senza che
ci fosse un motivo.
No era la risposta giusta ma tirò su le spalle e
fece il giro del ballatoio.
“Michelangelo torna oggi?”- chiese Carla.
“Aha”- fece Eveline sedendosi.
“Va bene tra di voi?”
“Certo, perché non dovrebbe. Quel tuo compagno,
invece?”
“Si è calmato, ora la sua famiglia mi impedisce di
vederlo ma quando esce dalla clinica di disintossicazione io lo vorrei
rivedere. Sai solo perché insomma, solo perché deve sapere che ci sono.”
Lo sa che ci sei, sciocca, pensò Eveline, e che ti
potrà ancora sfruttare. Siamo davvero ridicoli quando raccontiamo bugie a noi
stessi. Giustificarci è ok, ma non bisogna fare finta di crederci- pensava
Eveline mentre Carla continuava a parlare. Aveva già versato due bicchieri di
vino rosso.
Ecco non dovrei bere, ma mi giustifico. Non mento,
mi giustifico e basta- pensò Eveline.
C’era un tempo in cui i romanzi e le poesie erano
la Grundnorm, non ispiratori ma la legge assoluta della sua vita. Voleva che
tornasse ad essere così. La vita adulta non era per lei la verità, non aveva
mai pensato che potesse esserlo. Spesso dopo una sbronza la coglievano attacchi
di panico e finalmente vomitava tutto il suo sdegno per la vita adulta. Poi al
mattino rimaneva solo un po’ di mal di testa e come per le persone bipolari, il
vago ricordo di una crisi.
“Ora ti devo salutare Carla, ho un bel po’ da fare
di là” - salutò la vicina e se ne ritornò nel suo appartamento.
Erano le 18.00, prese la borsa e uscì. La
saracinesca del bar sotto casa era alzata per la prima volta. Forse qualche
compratore era passato a vederlo. Tutto era rimasto come prima, prima che la
barista morisse. Il separé con Marlyn Monroe, il vecchio baule in vetrina con i
boccali e le birre artigianali. L’adesivo trasparente con la frase stampata che
Michelangelo aveva fatto fare per lei. Un colpo al cuore la fece allontanare a
passo spedito verso il parco.
La città e tutto quel baccano le sembravano contro
natura. Un settembre così caldo e vivace non se lo ricordava da anni.
Erano le 21.00 quando rientrò. Era facile trovare
conoscenti disposti a pagarle da bere. Le sembrava buffo. Non aveva mai fatto pace col suo essere socievole. Lo negava. Ma negare è mentire a se stessi,
pensò.
Le luci in sala erano spente. C’era un bigliettino
sul tavolo. Lo lesse alla luce del lampione che entrava dalla finestra.
“Scusami, mi sono dimenticato di comprarti il nuovo
spazzolino da denti, al ritorno. Me ne sono ricordato solo quando sono entrato
in casa. Ho già mangiato in ospedale. Le medicine ok. Ti voglio bene”
Michelangelo dormiva sul divano. Sul tavolino da
salotto c’erano una modesta quantità di medicine. Il bicchiere aveva lasciato
tanti aloni e i vestiti erano sparsi sul pavimento.
Se l’è ricordato, pensò e dentro di sé sorrise. Non
proprio al momento giusto, ma se l’è ricordato. Guardò Michelangelo, poi gli
aloni sul tavolino, poi il disordine.
“Al diavolo- disse a bassa voce- se l’è ricordato!”
Prese il libro e andò a sedersi sul water. L’incenso di Veronica continuava a
bruciare.