mercoledì 14 novembre 2012
Pasto notturno
C'è un vuoto che non straborda
e non scorre- stalattiti sull'anima-
Dal bar all'angolo
scappavano note d'un blues sgualcito
lui rimaneva alla finestra
con gli occhi di chi vede mille cieli passare
senza riuscire a riempirne un angolo.
Su cornici invecchiate
tracciava parole già dette;
la sera, mangiando del riso
pensò a quegli uomini che
portano ancora il borsalino.
Il rubinetto della cucina
gocciolò tutta la notte.
domenica 12 febbraio 2012
Tempo
Questa non è una poesia amico
né un testamento
né una preghiera
forse solo uno sproloquio
del padre insonne
della cameriera che finisce il turno
dello spazzino che saluta la notte
del contadino che si accarezza le ossa
dell’insegnante che rammenda le speranze
dell’ubriaco che barcolla verso un nessun-dove
delle paure mai confessate di un orfano ormai uomo.
E’ il sapore di tanti mattini che ti sono così familiari
e forse, sapresti raccontarmeli meglio
se solo io ti conoscessi amico
e tu riconoscessi me
mentre attendiamo di attraversare
ai lati opposti della stessa strada.
Questa non è una poesia
ma il silenzio di certi mattini
quando tu pensi alla tua Lisa (andata)
ed io penso alla tua Lisa
e Lisa, Lisa forse sogna
sotto una coperta colorata, contornata
- nell’insonnia di qualche altro sconosciuto-
di speranze ciglia tocchi e baci.
Siamo, in fondo, tutti così vicini
in questa misteriosa danza che ci sfinisce
tramutandoci in temporali
ci risvegliamo
cristallini e soli
bagnato sul parabrezza del primo autobus
bagnato sulla pianta da balcone
bagnato sui ciottoli di un cimitero di campagna
bagnato sulle vetrate dei Cafè affollati delle metropoli
bagnato sulle spalle del vecchio macchinista
che finito il turno di notte, torna a casa in bici
e sa che non chiuderà occhio
finché- seduto in cucina
non avrà masticato fino all’ultimo morso
pane bianco e nostalgia
che hanno il sapore di questa poesia
che non è una poesia
ma il volto delle stanze certe mattine
quando gli oggetti
ti fanno tremare
le loro smorfie crude
la casa così nuda
così banalmente casa, né più né meno.
Allora ti strofini la faccia
davanti allo specchio del bagno
pensando che dovresti darti tregua
concentrarti sull’odore del caffè
ecco,
ma poi sul tappeto
proprio all’angolo del divano, lo vedi
lei lo ha gettato senza farsi notare,
quel fiorellino che tu avevi colto
fuori dal cancello di una villetta di periferia.
Non hai mai saputo ingannare il tempo
né hai voluto
come fanno loro
come sono bravi loro e Lisa
ad annusarlo
nasconderlo
dividerlo
vestirlo a festa quando conviene
metterlo a tacere
smettere di guardarlo in faccia
smettere di pensarci
consumarlo alla svelta
consumare l’amore
poi smettere ancora
senza avere fretta di ricominciare
mentre tu seduto a quel tavolo da cucina
ti senti come uno scolaretto
che deve ancora cominciare con quella A
e speri che qualcuno ti chieda di ripeterla
mille volte e altre cento A, A come Amore.
Non hai mai saputo ingannarlo il tempo
né onda
né torre
non ti sei mai nascosto
né lo hai mai lottato.
Al diavolo!
Forse non sai davvero dirlo cosa sia
ma sai che ti svegli
prendi l’autobus
qualche volta parli agli sconosciuti
qualche volta invii cartoline
ti picchia il sole a volte
e certi pomeriggi ti fai ancora servire
una birra calda da Gerry
poi i mercatini dei libri usati
la beneficienza
le telefonate di auguri a Natale
la fila alle poste
contratti firmati
appuntamenti trappola
tempie pulsanti
l’impronta di una testa sul cuscino
che prima o poi sparirà.
Se il tempo fosse un album di fotografie
vorrei solo non lasciarlo vuoto,
dicesti quella sera in quel locale
tu che le parole non le hai mai cercate
ti sono scappate dagli occhi, dalle mani:
cuccioli che non hai mai saputo ammaestrare.
Sbattendo contro la distrazione gioiosa degli amici
ottenuta una carezza impietosita da Lisa
quella sera le parole tornarono da te
e lì sono rimaste,
come il silenzio di questa mattina
che non è una poesia.
martedì 31 gennaio 2012
Il passato è una candela che brucia invano, illuminando santi che non sono mai esistiti
Ho paura, mi dice,
e con gesto nervoso si arrotola
la manica della maglietta bianca sulla spalla ossuta.
Ho paure di tutte le esperienze
che si accumulano come quei libri
che hai letto e ti sono tanto piaciuti
e dei quali negli anni
non sai dire granché, non sai raccontarli
non sai fare ché uno stupido riassunto
confondendo personaggi
e dimenticando la fine .
Non ne hai un’altra di bottiglia, gli chiedo?
Va in cucina mentre faccio scivolare
il palmo della mano sudata
sullo schienale del divano di pelle nera.
Non è facile sai, certe volte soffoco
pensando di dover ricominciare
contare le parole e le pause
classificare ogni espressione, ogni attesa
spogliare mentalmente gli eventi
per ricavarci fuori qualcosa che non c’è
parlare e non arrivare mai alla fine
riassumersi
parlare e farsi parlare addosso, tutto quel mentire e mentirsi.
Gli prendo la bottiglia e me ne riempio un bicchiere.
Lui beve acqua ed ammassa le bottiglie vuote di plastica
sotto il tavolino basso da salotto.
Non ti senti soffocare, a volte?
Fisso i tatuaggi sulle sue braccia
e faccio finta di non capire.
Ha una barba rossiccia e legge Buddha
quando non fa l’amore o non fa tatuaggi abusivamente
nel suo garage.
Rimani qui stasera?
No, gli dico.
Si allontana stizzito e finge di leggere un articolo
sul National Geographic
Poi lo getta via e rifugia la testa sul mio petto
facendo rovesciare il bicchiere sul divano.
Io so solo che il passato è una candela che brucia invano
illuminando santi che non sono mai esistiti,
gli rispondo.
Lui alza la testa, ma cerco d’evitare lo sguardo;
si fa fatica sapete, accettare di essere capiti,
non si è mai sazi
non si è mai troppo capiti, né si è mai troppo fatti capire
ed ecco che si ricomincia e ci si consuma
e si finisce come quei vecchi libri
dei quali non sai raccontare granché:
sai solo che ti sei appartenuto una volta
e adesso non t’appartieni più.
Allora mi alzo, infilo la giacca
e cerco le scarpe per mettermi al sicuro.
venerdì 27 gennaio 2012
La via della sete*
Ciò che scrivo
fa fatica ad inserirsi
nel panorama contemporaneo
dicono gli editori
Ma io non so cosa significhi
contemporaneo,
perché il mondo la fuori mi sembra
il solito vecchio mondo,
il solito vecchio mondo rimbecillito
finestre
piccioni
e riflessi che muoiono su se stessi
fermacravatte
sogni parcheggiati
vestiti ammucchiati sulle sedie
parcometri
paure nude
e mani
mani
mani che salutano
si agitano
accarezzano (troppo poco)
si accaniscono sui barattoli dei cosmetici
mani a cui nessuno ha mai mostrato il loro posto
mani che spostano oggetti, testi sacri e destini
polvere sulle mensole
strade, ovunque strade
giorni da dare in pegno
amori derubati
stanze di tutti i colori
blu verdi rosse
blu il mare che hai solo visto da lontano
le vittorie che non hai visto nemmeno da lontano
e sempre le stesse persone giuste
che continuano a strizzare l’occhio
ad altre persone giuste
e la vita che s’impossessa di ciò che credevi tuo
e progetti non tuoi che devi portare avanti
cibi in scatola
scatole cinesi
carestie
palloni colorati
la terra; il tao delle ingiustizie.
Si vive e si muore
sempre per gli stessi motivi
che quasi mai sono quelli giusti;
non so come lo direbbero questo
i miei colleghi contemporanei
ma il concetto è tutto qui.
Ad un certo punto i giovani
smettono di scrivere poesie
I pazzi sono sempre gli stessi
ma mai nessuno s’è abituato a loro
I ragazzi prima muoiono nelle loro stanze
poi mentono agli amici al bar, gridano
e chi lo vuole l’amore, chi ci crede!
La moralità sempre fuori moda
Uomini che fumano sigari da 10$
e fanno pensieri da pochi centesimi
Uomini che rubano il cielo ai ciechi
Dietro le finestre
sempre i soliti invisibili in attesa
Ma certo questo dev’essere
così poco moderno da scrivere
Io so solo che bisogna abituarsi
agli spazi vuoti e al silenzio
se si vuole inseguire la vera bellezza
o sopravvivere
mentre la mattina presto
Paolo parla alla sua fidanzata immaginaria
alla fermata della linea 2
e degli operai insonnoliti
cambiano l’insegna
dell’ennesimo negozio alla moda
chiuso per fallimento
E la sera, conclusa l’ennesima
giornata non-eccezionale,
me ne ritorno a casa infreddolita
Nel mio immaginario
giornalisti
galleristi
e critici d’arte
s’affollano come animaletti coprofagi
Le signore dabbene in stazione centrale
continuano a calpestare i barboni
distratte dai cartelloni pubblicitari
mutande di lusso dal design esotico
49.98$
Mentre dall’alba dei tempi
mille anime dorate
si spengono senza un lamento,
scriva qualcosa di più moderno
incalzano gli editori
ma ho appena bevuto un goccio di vino
comperato al discount
e credo che sonnecchierò
per il resto del viaggio
seduta qui in seconda classe.
(*espressione di Giuseppe Blanco)
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