Ho paura, mi dice,
e con gesto nervoso si arrotola
la manica della maglietta bianca sulla spalla ossuta.
Ho paure di tutte le esperienze
che si accumulano come quei libri
che hai letto e ti sono tanto piaciuti
e dei quali negli anni
non sai dire granché, non sai raccontarli
non sai fare ché uno stupido riassunto
confondendo personaggi
e dimenticando la fine .
Non ne hai un’altra di bottiglia, gli chiedo?
Va in cucina mentre faccio scivolare
il palmo della mano sudata
sullo schienale del divano di pelle nera.
Non è facile sai, certe volte soffoco
pensando di dover ricominciare
contare le parole e le pause
classificare ogni espressione, ogni attesa
spogliare mentalmente gli eventi
per ricavarci fuori qualcosa che non c’è
parlare e non arrivare mai alla fine
riassumersi
parlare e farsi parlare addosso, tutto quel mentire e mentirsi.
Gli prendo la bottiglia e me ne riempio un bicchiere.
Lui beve acqua ed ammassa le bottiglie vuote di plastica
sotto il tavolino basso da salotto.
Non ti senti soffocare, a volte?
Fisso i tatuaggi sulle sue braccia
e faccio finta di non capire.
Ha una barba rossiccia e legge Buddha
quando non fa l’amore o non fa tatuaggi abusivamente
nel suo garage.
Rimani qui stasera?
No, gli dico.
Si allontana stizzito e finge di leggere un articolo
sul National Geographic
Poi lo getta via e rifugia la testa sul mio petto
facendo rovesciare il bicchiere sul divano.
Io so solo che il passato è una candela che brucia invano
illuminando santi che non sono mai esistiti,
gli rispondo.
Lui alza la testa, ma cerco d’evitare lo sguardo;
si fa fatica sapete, accettare di essere capiti,
non si è mai sazi
non si è mai troppo capiti, né si è mai troppo fatti capire
ed ecco che si ricomincia e ci si consuma
e si finisce come quei vecchi libri
dei quali non sai raccontare granché:
sai solo che ti sei appartenuto una volta
e adesso non t’appartieni più.
Allora mi alzo, infilo la giacca
e cerco le scarpe per mettermi al sicuro.