lunedì 22 settembre 2014

Da dentro a fuori e ritorno- Inconscio vs Uomo


L’INCONSCIO

Un tempo avevo sete di tutto
Ora mi dissetano principalmente di alcolici.
 Un tempo mi perdevo con leggerezza per poi ritrovarmi,
 senza fretta,
 in una notte qualsiasi, tragicamente o gioiosamente
 – sempre scandalosamente fuori dalle righe.
Ora hanno aggeggi tecnologici che dicono esattamente dove mi trovo, come e perché.
 Non ho bisogno di pensare.
Le parole mi si incastrano tra i denti.
A volte cerco di spingerle fuori ma esse arrivano a valanghe, giù, giù,
si spargono ovunque, malamente masticate,
non digerite,
 sbagliate, zitelle, controverse,
 si piantano tutte nello stomaco e poi infettano il sangue ed i nervi
 – rimangono in circolo come un virus.
 Ci vuole coraggio per espellere le parole immagino,
giacché dalle bocche che mi ospitano ne escono poche,
malandate, ormai sfinite, smangiucchiate, storpiate, andate a male.
Vedo ovunque fiori che non vorrei cogliere
e fremiti che vorrei venissero colti
ma i corpi che mi ospitano sono restii agli abbracci,
 li sento ripetere tra se e se davanti allo specchio, di nascosto,
nei bagni dei tribunali, negli uffici, nei bar a notte fonda,
li sento dire: “sto bene, non ho bisogno di nessuno, gli abbracci sono per le femminucce”.
 Ma Davis e Ginsberg e Whitman con la sua barba bianca d’America zozza e fiera,
loro erano uomini, eccome se lo erano.
Tra eroina e cazzi, improvvisazioni e solitudine
nella lunga lunga lunga strada del risveglio si sono fatti abbracciare,
chi dalla disperazione, chi dal genio, chi dall'amore
- nudi e crudi- si sono fatti abbracciare.
 Vivo in case confuse – pacatezza a colazione,
 il cucchiaino allo stesso posto, tovagliolo e due fette biscottate
- vivo in case confuse- pacatezza e buon senso da mattina a sera
e anime smilze e prosciugate.
Il tempo ci mostra la lingua.
La nostalgia spezza le vene come fossero rami d’autunno,
eppure pantofole sempre ordinate fuori dalla porta, il cane a passeggio,
poco sale, poco affetto- poveri cuori in subbuglio.
Pregano per l’autocombustione ma non c’è una miccia di passione umana
- indifferenza ed entusiasmo fuori posto, nuova catena di vestiti in centro storico.
Entrano nelle stanze, entrano nelle vite, entrano nei mesi  pieni di cuore,
e prima poi,
-perché prima o poi  escono tutti-
 ci escono senza un cuore.
Possono avere ricordi toccanti,
 visioni e paranoie dalla bellezza terribile,
ma non sanno, non vogliono,
non riescono a tradurre in parole e gesti.
Guardano ma non sanno riconoscere
…giornali, caffè, inezia, frenesia
ma non sanno riconoscere.
Non sanno riconoscersi.
Mercanteggiano con le loro paure, non ascoltano,
fanno compromessi con le previsioni meteo e le rate dei mutui,
si svendono a se stessi a prezzi stracciati ed a prezzi folli cercano di ricomprarsi
E mentre l’Io diventa sempre più altro,
 i sogni rimbaudiani vengono messi al rogo,
come distorsioni malate o atti di stregoneria
- coerenza amore folle,
ideali, ideali, ideali.
 Altro, altro, altro.
Si rattoppano solo le disillusioni e non si sbucciano più le ginocchia.
 I confini si intensificano dentro e fuori,
come vene trasparenti i confini, definiscono cuori e destini,
 umori e macchinari. I confini.
 Il male è sempre più male, ed il bene nemmeno tanto bene.
Niente assomiglia più a se stesso, ad eccezione delle bugie.
Si fanno falò con i desideri. Si riempiono buche con le paure.
 Si ripuliscono grandi vetrate lucide con i compromessi.
Si comprano oggetti con destini e destini con oggetti.
Ti rubano il sonno e te lo restituiscono pieno di debiti.
I confini. I confini.
Ah l’uomo povera crudele creatura quasi perfetta.
Non sa dove inizia e dove finisce il suo grande immenso se stesso, il suo minuscolo ed insignificante se stesso.
Occhi culo mani bocca baci dolori ernie illuminazioni gravidanze vene varicose commozione disagio dieta indignazione marcia paralisi gola orecchie grida proteste voci occhi Sole soli, soli, soli.


L’UOMO
Io ho sessant'anni. Porto sempre un vestito, camicia bianca e papillon. Se non fosse per la giacca lercia, più grande di quattro taglie nessuno mi taccerebbe di essere un barbone. Di fatti non lo sono. Ho casa. Ma ho le mie abitudini. Mi aiutano a non diventare matto, non del tutto.
Eppure vedendomi molti direbbero che già lo sono. Come la storia di questo papillon, è un’abitudine, mi ricorda ogni giorno, anche se ogni giorno  più puzzolente, che sono esistiti i tempi in cui mi facevano regali, specialmente le donne…una donna.
Ho un’altra abitudine, due volte a settimana vado dal pakistano di corso Garibaldi, mi compro una confezione di merendine scadenti, quelle con la farcitura all'albicocca, il cioccolato non mi piace, mai piaciuto, una bottiglia di vino, e poi mi siedo sulle panchine, in Piazza 24 Maggio- preferisco quando ci sono ragazzi giovani accanto a me, loro conservano ancora una purezza che mi mette a mio agio, bevono dalle bottiglie come me, e mangiano schifezze, come me. Non mi guardano male, come gli adulti, non fanno strane smorfie, ridono o bisticciano spensierati, non notano niente di strano, nessuna bizzarria. Siamo simili, mi fanno sentire meno solo.
 Io scarto la prima merendina, poi la seconda, poi bevo un sorso di vino e poi finalmente mi accendo una sigaretta. Non penso, aspiro, profondamente.
D'altronde a cosa puoi pensare quando non ti ricordi nemmeno se è stata tua moglie a regalarti quel papillon..che poi chissà cosa vuol dire, moglie. Il pakistano mi parla spesso della sua famiglia. Io vorrei proprio capire che significa, vorrei potermelo ricordare. Ma ho le mie abitudini, e quelle dicono alla testa, stai calma, va tutto bene. Così mi dico, va tutto bene, non esplodere, non oggi, ancora un altro giorno, prego.
 Allora mi accendo la seconda sigaretta, ed i ragazzi continuano con il loro chiasso spensierato. A volte mi chiedono una sigaretta, a volte gliene chiedo io una. Poi mi sdraio sulla panchina e fisso le stelle. Non che si vedano dal centro città ma mi piace sapere che sto puntando lo sguardo verso qualcosa di profondo, sconosciuto e luminoso. Non ci si può perdere nell'infinito, perché non ci si può nemmeno ritrovare, non ci si può soffocare nell'infinito perché non c’è nemmeno bisogno di respirare. M’accorgo di respirare solo quando mi viene un attacco di tosse e devo alzarmi dalla panchina. Raccolgo le mie cose e mi avvio, a volte non mi ricordo nemmeno il dove ed il perché, non so nemmeno dove arrivo né quando, ma so che ho la mia abitudine di merendine e sigarette e cielo e ragazzi sconosciuti ma amorevoli,  ed è solo uno sciocco rituale di un non barbone con il papillon…ma mi tiene vivo, dice alla mia testa non scoppiare, non oggi, così inganno i giorni, inganno le ore ed ogni loro minuto. Non sono sicuro che siamo venuti a questo mondo per ingannare i giorni, ma per ora va così.
Una ragazza dalle parti della biblioteca municipale mi ferma un giorno, fumavo, anche lei, mi allunga un libro, “Orientarsi con le stelle” di un certo Carver. Erano lunghe poesie che non sembravano poesie. Lo legga mi dice, ed allora per non deluderla lo feci. Non avevo nessuna voglia di poesia né allora, né ora, credo. Non ci capii granché, eppure parlava schietto. Pagine e pagine riempite di gente stramba e sola, persa e delusa, gente che beve cognac di prima qualità davanti al camino e non sa scrivere lettere d’addio, gente che porta a passeggio il cane e mangia nei bistrot ma non sa piangere, gente che viene pagata per scrivere eppure non saprebbe dire una parola autentica su di sé. Allora mi sentii meglio. La miseria umana infinita e  dolcemente penosa. Orientarsi con le stelle, orientarsi con le stelle. Ma non ci sono stelle visibili in centro città-lampioni-motorini-tavoli e sedie-licei pieni di fantasmi felici-insegne ed insetti tecnologicamente avanzati-escrementi-distributori del latte- crepe sui muri- graffiti e graffi-padroni e collari- padri e rimpianti.
No, non ci sono stelle, né orientamento finché non ci accenderemo interiormente.



giovedì 17 luglio 2014

Se potessi rivederti




Se potessi rivederti
non sarebbero molte le cose che avrei da dire
forse non riuscirei affatto a parlare
imprigionata nel faticoso percorso della rimembranza
scrutare i tuoi lineamenti scuri e orgogliosi
stremata dalle infinite strade percorse per anni
-trattenendo il respiro
dagli occhi al mento, dalla fronte alle labbra
troppi lunghi viaggi.
Se potessi rivederti inventerei il passato
inventerei notti in bianco e follie che non ho vissuto
inventerei sbronze e treni che non ho preso
inventerei poesie ed anime che non ho conosciuto
per non vedere quello sguardo,
il tuo inobliabile sguardo
che urlava "sciocca, fatti salvare";
ma d'altronde è stato più facile arrendersi ed andare
e se potessi rivederti temo che capiresti, come sempre, tutto.

mercoledì 16 luglio 2014

Gli amori annoiano

Gli amori annoiano
Quelli che non annoiano ritardano
E quelli che non ritardano hanno troppa fretta
Allora mi smangiucchio le unghie fino a farmi male
Penso a stupide evasioni mentre mi rinchiudo in bar fuori moda
Le banalità aiutano il cervello a respirare
Qualcosa dentro al petto
si ostina a parlare lingue che mi isolano dagli altri
Non sopporto le folle di sconosciuti
ma finisco sempre per provarne nostalgia
E m'accorgo di vivere la periferia della mia vita
Mentre tutto ciò che voglio si trova al centro
Che chi lo sa, poi, dove si trova davvero.

martedì 18 marzo 2014

Readings



 "Questo è quello che faccio: preparo il caffè ed occasionalmente soccombo al nichilismo suicida- ma non dovete preoccuparvi, la poesia rimane ancora al primo posto. Le sigarette e l'alcool seguono."

Anne Sexton