"Involontariamente verso queste tristi rive, mi attira una forza ignota- cantava lo studente di medicina"- Anton Cechov
Era il 31 dicembre e camminavo lungo le strade
illuminate di Reggio Emilia, sotto un sole quanto mai inappropriato. Giovanni e
Alice discorrevano di cose, sì cose e nient'altro. Io seguivo la linea del
marciapiede e di tanto in tanto canticchiavo qualche verso- tutta la situazione
mi rimandava a quel racconto di Anton Cechov, "Crisi di nervi".
Mi chiamo Paul e sono uno studente di legge.
Superflua informazione. Riconosco la mia goffaggine così mi ritiro lungo la
linea del marciapiede a mettere alla prova la mia capacità di equilibrio.
Era una giornata di sole e mi sentivo come Vasil'ev
che "commosso guardava gli amici, li
ammirava e li invidiava. Come tutto in quegli uomini, seri forti e allegri era
equilibrato. Come tutto nelle loro menti era definito e liscio!"
Mentre io sono Paul, giovane invecchiato studente di
legge e ho una voglia incontenibile di confessarvi che scrivo anche se questo
mi riporta ai giorni precedenti a quel 31 dicembre- tutto mi turba oltre mondo-
quindi taccio.
Giovanni e Alice si scambiarono occhiate piene di
significato quando a un tratto mi staccai da loro andandomi a sedere su una
panchina in piazza Fontanesi.
"Sei sicuro di stare bene Paul?"
"Certo"- in mente mi venne l'immagine di
quel cucciolo di labrador che tengo incorniciata sulla scrivania- mi toccai la
faccia, era ancora al suo posto ma non la sentivo.
"Vuoi che ti lasciamo da solo?"
"Vuoi che resti con te? Vuoi?"- disse
Alice col suo vitale ma irritante senso dell'altruismo.
Umanità! Umanità!
"No, andate. Ci rivediamo stasera"
Se ne andarono bisbigliando, terrore nei loro occhi,
indifferenza nei miei, perché quella crisi di nervi stava per svanire- lo
sentivo che era ora- e mi sarei ritrovato più solo di prima, più stabile di
prima, più forte di prima.
Oh orrore! Sentii il vento fischiare lungo i fiumi -dolorosi
canti d'addio- e guardai in alto; vecchi rami di alberi come sporchi capelli di
streghe venivano piano piano inghiottiti dalla nebbia. Avrei ancora dovuto
sopportare l'ennesimo crepuscolo inventando parole immobili seduto su una
fredda panchina?
"Nella propria
selvaggia natura ci si ricrea nel miglior modo della propria non natura, della
propria spiritualità"
Oh, al diavolo quel senza-dio di Nietzsche. Elessi
mio Signore quel tizio con i baffi e la pelliccia che passava in bici e
assomigliava a E.A Poe e seguitai speranzoso ad ascoltare musica natalizia in
chiave jazz- una prostituta vestita da
gran dama.
Tutta questa storia della crisi iniziò quel giorno
in cui incontrai Jolene...oh Jolene e la sua voce così profonda e rassicurante
(ho bisogno di un altro sorso di whisky) Jolene e la sua giovinezza -la sua confortante
incoscienza.
La incontrai in una libreria di libri usati. Ma
finì. Certo che finì.
Quel giorno, in quella libreria cercavo materiale
per un articolo che sarebbe dovuto
uscire sul giornale studentesco. Gli ultimi raggi del sole, quelli più intensi,
le coprivano il volto corrucciato mentre cercava tra gli scaffali.
Annusavo avidamente il profumi di libri vecchi e mi
chiedevo quando chiudeva quel posto- dimenticandomi di quei luoghi senza
aperture, né chiusure, crudeli come l'immaginazione e perfetti come il volto di
d-o, luoghi che esistono ovunque ma non sono da nessuna parte: gli Attimi,
luoghi della mente dove noi ci buttiamo a capofitto dimenticandoci di lasciare
fuori i nostri ingombranti sentimentalismi- così vennero profanati i mari del
nord.
Mi allungò un volume di Ginsberg dentro il quale
aveva messo un fogliettino - lessi parole che credevo fossero "delle menti distrutte dalla pazzia"-
e m'innamorai di lei, del suo corpo che immaginavo nelle lunghe e desolate sere
trascorse in qualche squallida birreria, attendendo di rivederla ancora,
attendendo una sua parola.
E un giorno Jolene tornò, riapparve con labbra
terrificanti e con dita che suonarono i genitali della mia mente impazzita e
vidi fanciulle gettarsi dai ponti, d'oro vestite, in quella notte in cui lei
continuava a dirmi "ti amo",
senza sapere nulla di me, ma potevo io mandarla via?! Era tutto ciò che avevo
segretamente sognato.
Mi legò a se senza fare un gesto- così nella
speranza di affondare il cuore unghioso nella sua pelle, la portavo ovunque con
me.
Ma lei non comprese mai quel mio bisogno di
dondolare per strade al ritmo di jazz. Intere notti tremavo più per il suo
disprezzo che per gli incubi. Oh Jolene, cosa avrei dato per stare seduto in un
angolo osservandoti scrivere con quelle tue mani come grilli ubriachi sulle
spighe d'oro nelle notti d'agosto.
La portai ovunque, ovunque potessi esserci anch'io,
dietro le quinte dei miei spettacoli di teatro ma lei si vergognava della mia
inerzia, la portavo nelle aule universitarie ma lei si vergognava del mio
scetticismo, la portavo nelle feste private ma lei si vergognava della mia goffaggine
così mi rifugiavo in bagno con una bottiglia di vino dimenticandola fuori.
Volevo scrivere per lei, ma a lei questo non bastava.
Un meccanismo perverso sembrò perfezionarsi di giorno in giorno finché gli Zoa*
vinsero sulla mia volontà e diventai uno fuori dall'Eterno, uno indifferente.
Oh Jolene, il mondo condannò ogni nostra promessa
alla ridicolaggine.
E ora sei spettro: elementi dell'ideale che hanno
cessato di essere in comunione con il Divino (definizione inaffidabile).
Quante notti ho passato da ubriaco a parlare con i
personaggi dei quadri di Hopper, li ho odiati sai, li aggredivo ogni volta che
assaltava i miei occhi quella loro indifferenza alla condizione di solitudine
universale. E non potevo chiamarti. Come biasimarmi, m'immaginavo la scena, un
orgoglioso peccatore privo di talento e di morale che chiede a Gesù di
diventare il suo compagno di merende...era più semplice odiare i personaggi di
Hopper.
Beatrice e Paola e poi Rita…così mi trascinarono
nelle loro vite prive di intensità, prive di complicazioni. Così m'illusi di
poterti dimenticare e una volta fuggito dall'acquario soffocante della nostra
unicità mi convinsi di sentirmi bene nell'oceano dell'anonimato. Mi
convinsi...fino a che compresi che non ero fatto per l'oceano- la grandezza mi
ha sempre spaventato.
Tutto ciò che avevo era una certezza profonda, come
profonda era l'angoscia che generava. Quelle notti a sussurrarci parole, tutte
quelle notti a scrivere sciocchezze più sante di tutti i santi libri del mondo,
tutte quelle notti...oh che angoscia-
come quel pazzo che cammina per la strada e grida di aver visto il paradiso, un
tizio lo ferma e gli dice che si sbaglia, che non esiste il paradiso ma il
pazzo continua ad affermare che esiste, allora gli si chiede di provarlo così lui
inizia un pianto angoscioso e disperato perché non può provarlo, ma lui sa che
esiste, lui lo sa!
Oh Jolene, io avrei voluto toccarti in eterno ma
come può un uomo salvarsi dalla vita se non vivendola? Se il tempo è la copia
dell'Eternità°, beh il nostro tempo era una brutta copia indecifrabile- e tu
sai della desolazione del crepuscolo- ed ecco che scioccamente parlo a te come
se tu fossi presente ancora, come se tu fossi il miracolo della mia mente,
tutta creata da me per dare vita a quel regno dei poeti tanto bramato nelle
fantasie adolescenziali.
Merda a me! Io che tra i minacciosi rami degli
alberi vedo il suo volto- Jolene imbronciata nemmeno mi guarda, nemmeno si cura
di me.
Molto spesso ci accusavamo a vicenda di non amarci e
non ci furono lotte più inutili nella storia dell'umanità. Tutto quello mi
rimanda a un passo di Kerouac che dice:
"Lo Zen è quando la Luna mi segue verso nord e ti segue verso sud.
La
Luna vera chi sta seguendo?"
L'amore era vera ovunque fuori dai nostri dubbi, ma
non ci fu possibile capirlo così lei soffrì per la mia indifferenza e io per la
sua testardaggine mentre ci bastava abbandonare le menti.
Mi chiamo Paul e studio legge. Certe volte ho
bisogno di fissarmi allo specchio e dirmelo. Ho vissuto tanto a lungo fuori
dalla mia vita che ora faccio fatica a credere di averne una. Io ho decine di
taccuini e quadernetti pieni di scarabocchi che disconosco e di notte, a volte,
sogno il pubblico che assiste ai miei spettacoli di teatro colpirmi con frutta
andata a male, così io prendo due prugne e corro a costruire Frosty, l'uomo di
neve, poi mi metto seduto vicino e piango perché pare cieco con quelle due
prugne al posto degli occhi!
Ma né le mie fantasie, né la mia coscienza
riflettono la verità delle cose- mi chiedo cosa può essere in grado di
rifletterla- così mi viene in mente Jolene che mi trascina su un letto in una
camera spoglia e grigia in un pomeriggio qualsiasi...Stop!
Sono Paul e studio legge- tutto quello che avrei
voluto fare non è perseguibile se non fuori dal tempo. Alla finestra del cranio
si affacciano clown con sorrisi mostruosi. Ad ogni incubo volevo chiamare lei. Avrei
voluto raccontarle come una notte rientrando in camera dopo una passeggiata
sotto la pioggia avevo sfidato il disordine della stanza mettendomi a dormire
con i capelli bagnati. Tutto questo per farle capire che c'era l'aria che
spostavo e la pioggia che mi bagnava e certi occhi come quelli di Gil che
scrutavano penetrando nel profondo delle mie contraddizioni e tutto ciò
dimostrava che esistevo, esistevo per lei, per Jolene.
Ma se certe notti mi trascinavo in degradanti
birrerie o mi isolavo nella stanza a bere vino da 99 cent o leggevo libri
impegnativi(?) era solo perché il mio animo vigliacco temeva la spontaneità,
quel suo odioso essere Jolene all'infinito, quella sua saggezza così ben
camuffata. Così osservavo la cornice con la foto del cucciolo di labrador sulla
mia scrivania e giravo tra le dita una penna, compiacendomi di quel vuoto
perpetuato istericamente pomeriggio dopo pomeriggio. Forse la colpa era tutta
del mio egocentrismo?
Sono Paul e
sono uno studente di legge...hum, no, era solo che ogni mia condizione
affermata stava ad indicare una non-condizione. Ero debole e avrei continuato
ad esserlo finché non avessi trovato un posto per me- sospiravo- un posto che
però non stavo cercando, in verità non volevo trovarlo. Ma c'era una mente
nella quale mi sentivo vivo, Jolene forse non lo sapeva, così certe notti mi
mandava via. Chissà se lo avrebbe fatto se avesse saputo che in quei momenti mi
sentivo il più sfortunato dei barboni, un vagabondo che si trascina
nell'universo-bolla con il peso di troppe parole non esplose. Ma certe volte
ero io a lasciarla fuori con le sue innocenti promesse sulle labbra, dispettoso
come quel bambino che nella sala lettura della biblioteca un giorno
interrompeva la narratrice a ogni frase, lamentandosi e sbuffando. Stizzito
incrociava le braccia, incredulo protestava, interrompeva, rovinava i finali.
"Vai al diavolo Paul!" ricordo di averlo
sentito tante volte e in quel vai al diavolo trovavo tutta la saggezza del mio Zarathustra.
Lei era la mia morale, la mia devastazione, la mia delicatezza, il mio
Mississipi arrabbiato, il mio jazz indifferente, il mio vino rosso, la mia nebbia
invisibile. Ma lei stava diventando grande ed io vecchio e lei sarebbe
diventata sempre più grande ed io nemmeno tanto vecchio. Jolene studiava con il
fervore delle persone equilibrate, io con l'ansia dei pessimisti- tutta la mia
razionalità e la mia conoscenza sprofondava nell'impeto del momento- ero il mio
peggiore incubo e negli ultimi tempi pensai fosse tutta colpa sua! Lei
m'insegnò ad abbandonare l'autocontrollo e io permisi al mio animo ogni
inclinazione a grottesche esagerazioni. Così affermavo il contrario del
contrario senza mai rinnegare nulla, correvo avanti avanti avanti- certe volte
lei corse con me, finché ne valse la pena o poco più.
* Il mito dei quattro Zoa, come
inteso da Blake nelle Visioni. La caduta dell'uomo eterno è dovuta alla
ribellione dei quattro Zoa che sono: l'intelletto (urizen) l'emozione (luvah)
la sensazione (tharmas) l'immaginazione (urthona)
° Così come inteso da Platone