- “Andrà tutto bene, devo solo cercare
di non morire assiderato” - pensò Charlie mentre il treno pareva arrancasse nel
buoi della notte, più assonnato dei passeggeri che gli dormivano in pancia.
Fece di nuovo il suo numero ma
dall’altra parte rispondeva sempre la segreteria telefonica. Il numero che avete cercato può essere
momentaneamente….
“ Sì sì irraggiungibile o spento. Ho
capito. Ma non ti stanchi mai di dire sempre le stesse cose?!” – inveì contro
la segreteria a bassa voce- “d’altronde
me lo merito. Ma che mi aspettavo! Se ne esco vivo mi autopunisco. Mi guardo
tutto il palinsesto di rete quattro per un mese intero.”
Il treno Lecce Milano delle 22.45 era
quasi vuoto. Charlie aveva un rapporto complicato con i treni, li amava, finché
non ricordava il viaggio del ritorno, e lui ritornava sempre, ogni volta da
dove era partito.
“Non ho il cuore di tenerti sveglia
quando domani hai un esame, riccioli d’oro. Ora vai a dormire, o a
ripetere..insomma, sì adesso attacco…”
“Qui ha nevicato, avrei voluto ci fossi,
saremmo stati lì seduti, senza dire una parola a guardare la neve” – gli aveva
risposto Eveline, qualche ora prima. Charlie aveva sospirato profondamente e si
era morso una mano dall’altro capo del telefono, senza riuscire a dire altro
che un:
“Lo so riccioli d’oro. Lo so.”
“Prima di addormentarmi fisserò la palla
di cristallo. Tu amami..”
“Oh cristo, ora devo attaccare” - aveva
detto lui. Era corso in bagno e si era fissato allo specchio per qualche
minuto. Certe persone vivono in una dimensione puramente sentimentale e quando
la realtà sottrae a questa dimensione anche l’ultimo brandello di
materiale..beh ecco, si direbbe che “sbroccano”.
Scongiurato l’ennesimo attacco di panico era salito sul terrazzo e aveva fumato
4 o 5 sigarette mentre la Luna faceva la disinteressata.
Charlie aveva venti due anni. Una
cultura personale che lo faceva apparire strambo davanti ai suoi coetanei. Dei
lineamenti scuri e fieri. Una chioma bellissima. Un’acutezza spirituale che lo
faceva apparire uno stregone e tanta, tanta sociopatia. Avrebbe potuto fare
innamorare di lui chiunque volesse ma aveva fatto innamorare Eveline. Lei aveva
una chioma riccioluta. Beveva tanti caffè e di notte non dormiva mai. Avrebbe
potuto fare innamorare chiunque volesse ma questa è un’altra storia.
“Guarda, hey Charlie, guarda…”- aveva
detto lei durante una video chiamata un anno prima - “Ho comprato questa cosa,
di vetro. Va a batterie e la palla di cristallo si illumina.”
La “cosa” era una cineseria di cattivo
gusto. Una palla di vetro soffiato con all’interno i tre protagonisti
dell’avvento. Insomma, un presepe che si illuminava.
“Prima di conoscerti odiavo il Natale ma
ora…”
Quella palla di cristallo aveva perso
ogni valenza religiosa e i due avevano riversato sulla “cosa” un significato
tutto loro.
Sul terrazzo tirava un gran vento. Un
vento caldo di scirocco.
“La neve”- pensò Charlie e si immaginò Eveline aggirarsi
per la città, col suo andamento goffo, sprofondarci dentro.
“La neve e qui 19 gradi. Bah.”
Più il treno avanzava verso nord più nel
bagno di quel vagone si sentiva un gran freddo.
Charlie non pensava a nulla. Non era
solito dubitare delle sue scelte. Quando agiva pareva riversare tutto se stesso
in quella unica azione e tutto il suo essere diveniva tutt’uno con l’istante.
Quando dormiva dormiva e quando parlava parlava. Quando amava amava.
“Tu mi fai paura” gli ripeteva Eveline.
Charlie si disperava al suono di quella frase. Lei non aveva mai cercato di
spiegarsi meglio. Lui di capire.
“Avremmo potuto fissare tutto quel
bianco, in silenzio, insieme”- aveva ripetuto sul terrazzo e dopo un istante,
ficcato sigarette, un libro e il portafogli nella tasca della giacca si era
diretto in stazione. Il treno stava per partire. I soldi per il biglietto non
bastavano. Senza nessuna esitazione si infilò nel primo vagone e si rinchiuse
in bagno. Non era solito dubitare delle sue scelte. Si fumò una sigaretta
sbuffando da una fessura del finestrino rotto. Poi fece per aprire la porta
quando vide il controllore sedersi sul sedile pieghevole tra i due vagoni.
“Cristo…proprio qui?!”
Si raccolse nella sua giacca troppo
leggera per l’occasione e si accovacciò sotto il lavandino.
“Sarà lunga…”
Il treno pareva arrancasse nella notte,
più assonnato dei passeggeri che gli dormivano in pancia.
Tutto intorno solo buio. Charlie pensava
alla luce accecante di una città ricoperta dalla neve. Pensava al profilo di
Eveline immerso in tutto quel bianco. Si addormentò, sfinito. Molte ore dopo,
il saliscendi dei viaggiatori alla stazione di Piacenza lo svegliò. Era quasi
l’alba ma ancora buoi tutto intorno. Si toccò la faccia sorpreso di averne
ancora una. Tentò di alzarsi. Le gambe non lo ressero. I battiti del cuore
sembravano rallentare.
“Se non esco da qui ci muoio” - pensò- “che
brutta fine la morte nel cesso di un treno interregionale.”
Uscito dal bagno si rannicchio sul
sedile in centro al vagone mezzo vuoto. Inviò un ultimo messaggio a Eveline:
“sarò a Milano con il treno delle 07.45”.
Avrebbe visto la neve per la prima
volta. Avrebbe visto una città tacere sotto il suo peso. Ed Eveline sarebbe
stata al suo fianco. Avrebbe fatto esperienza della purezza. Fuori dal
finestrino l’alba stentava a sconfiggere il buio e di nuovo si addormentò profondamente.
Al capolinea si svegliò stordito.
Una volta fuori lo accolse il solito
grigiore delle stazioni ferroviarie delle metropoli. Cemento, vapori, stridii
delle rotaie in movimento. E odore di fast food. Camminò verso l’uscita
inglobato dalla frenesia della folla. Tutto intorno neanche l’ombra della neve.
In lontananza la vide, lì ferma in fondo al
binario. Schiena ricurva, capelli arruffati, mani nelle tasche del cappotto più
grande di due taglie. Negli occhi un luccichio strano che cadde sul labbro
viola dal freddo. In quel luccichio scorse tutta la purezza della neve che non
avrebbe mai visto, non quella volta, almeno.