martedì 25 gennaio 2022

Foto all'epicentro del tornado



Ecco che ruggisce Paul, nello sguardo quarantacinque secoli leggeri, urina ubriaca e qualche sospiro brizzolato. Minestrone primordiale il suo sguardo. Prepara le tazze con gli occhi fissi su Frank che fa scivolare la mano su e giù dietro la mia schiena, spostandomi i capelli leggermente. Tempesta! Ormoni impazziti a far perdere l'equilibrio. Ma Paul sembra sereno, il leone in mezzo alla savana non ha paura della tempesta, ha paura della Luna. Ci serve la Luna nelle tazze e si siede a mischiare le stelle con il suo cucchiaino imperatore; addolciamo l'epicentro del tornado. Spegniamo gli ormoni impazziti!
Il suo sguardo è ancora su Frank, il suo sguardo ruggisce dolcemente ma non attacca, il caro amico, lui sa che lo amo.
Parlavamo tempo fa: 
- "Ti amo vecchio Paul, ma guardati, hai il doppio della  mia età e per come ti tratti dimostri un centinaio d’anni in più. Morirai molto presto, quindi lasciami piantare un po’ di erbacce ancora, lasciami giocare in borsa i santi valori della poesia, fammi impazzire al suono delle sveglie che cantano i miei orari sballati, lascia che perda le mie risorse immateriali nel mondo dello sviluppo e non odiarli, loro, non odiarli...Ricordi la scena di Van Norden e la prostituta? E ricordi Joe?"
Si era alzato senza darmi retta per tornare con il libro in mano. Sfoglia e si mette a leggere, con la sua voce rauca, con la sua voce da bambino cresciuto: 
- “Qualcuno deve mettere la mano nella macchina, e magari farsela strappare perché gli ingranaggi combacino di nuovo. Qualcuno deve farlo, senza sperare in un compenso (...);qualcuno con il petto così sottile che una medaglia lo aggobbirebbe. E qualcuno deve gettar cibo nella fica affamata, senza paura di doverlo poi ritogliere. Altrimenti questo spettacolo continuerà in eterno. Non c'è scampo dal macello..."*
- "Ecco, voglio essere quella dalla mano strappata, Paul, mi capisci? Ma poi morirò anch' io e allora, nel regno delle formiche eterne, dei barboni imperatori, degli invisibili, ti amerò ma ora lasciami amare il fango!"- gli dissi.
E ora, qui, mentre sorseggiamo il thè, gli sovviene ogni parola. Appoggia la testa sulla zampa, è il leone in gabbia, è il leone romantico che non vuole sbranare la sua preda ma amarne la carne. Mille sbarre si scopano i suoi desideri, sbarre metafisiche di ordini invisibili, i mai esistiti giusti governi che ammagliano con salari faraonici il lavoro di repressione dell'Io.
Finiamo di bere il thè. Frank raccoglie le tazze e va in cucina mentre io sfoglio il giornale. E' vecchio di un paio di settimane.
- "Ti devi aggiornare Paul..."
- "Perché? Gli uomini hanno per caso rinunciato alle loro gabbie mentali e gli incompresi sono i Re del Mondo?"
- "No Paul, gli uomini sono sempre ciò che credono di essere, l'alcol ha sempre tanti cari amici fedeli, il prezzo della benzina sale, i treni arrivano sempre in ritardo...tutto nella norma!"
- "Mi piace il tuo uomo"- dice fissando Frank che lava le tazze in cucina. Ma io non voglio parlare di questo.
- "Da quanti giorni non esci di casa?"
- "Mi piace il ragazzo..."- continua.
- "E' il mio uomo Paul"- gli rispondo senza staccare gli occhi dal giornale ma penso che voglio essere quella mano che aiuta la macchina, quindi continuo -"ma se lui vuole...".

Paul inizia a tossire, tossisce fino ad incrinarsi l'anima e gli occhi sembrano aver intrapreso un viaggio lontano; sembrano portarsi su paesaggi sconosciuti, lontano da questo appartamento spoglio in mezzo alla grande metropoli, lontano dalla sala impregnata di pesanti odori, fumo, cibo scadente, rassegnazione, calzini sporchi, giornali stagnanti di notizie-illusione. Lontano da questo tavolo di legno ben decorato, trasportato dalla Caritas con il furgoncino bianco, mentre si chiacchierava della Nascita della tragedia e di Kant, di Celan e della ontofenomenologia del pensiero giuridico. Lontano dalla mia mano, illusa autrice di versi buffoni, che prende la sua mano divina e piena di calli, la sua mano divina divina divina, nelle fredde solitarie notti d'inverno a spegnere nell'alcol illuminati pensieri geniali! La sua mano divina tremante, la stringo mentre tossisce ancora.
Si sveglia come da un incubo e fissa le nostre mani sul tavolo. Frank nel frattempo ha finito in cucina, è appoggiato alla porta; sei occhi a fissare due mani che si stringono su un tavolo di legno della Caritas.
Paul alza lo sguardo verso di lui.
- "Dimmi, sa almeno scoparti bene?"
Abbandono la sua mano e mi avvicino a Frank allungandogli la giacca. Gli sistemo il cappello sfiorandogli il viso. Lui mi aiuta a mettere il cappotto.
- "Lui ha un grande difetto” -dico- “mi ama".
Apriamo la porta. Dal pianerottolo entra aria gelida.
- "A presto Paul, stammi bene"- dice Frank uscendo. Io rimango sull'uscio. Paul è seduto al tavolo a giocherellare con i granelli di zucchero. Ha sentito la risposta che voleva sentire. Sorrido. Lui non alza la testa. Esco, chiudendomi la porta alle spalle.
Entrare uscire entrare uscire entrare.
Trascinarsi senza gravità sul fiato incazzato degli dèi, nella ferocia del tornado, per ricadere poi nella banalità di una serata tra le vie della metropoli. Non c'è altro modo per SENTIRE, se non quello di esasperare i momenti di follia; dopodiché, l'appiccicume vomitevole del nulla che accompagna la quotidianità, fino al prossimo tornado...il prossimo tornado... può avere il nome di  un uomo, di una città, di un locale, di un ospedale, di una nave, di una prigione, di un centro di disintossicazione, della metropolitana, di un'università. Ma quando arriva bisogna abbandonarsi alla sua forza distruttrice, abbattere i confini, evacuare l'anima. Allora, l'epicentro del vero-vissuto vi vedrà protagonisti. Dall'alto, gli dèi curiosi vi faranno una foto, entrerete nella loro memoria, bisbiglieranno il vostro nome.
In ascensore Frank mi blocca le spalle. La sua bocca invade la mia, con violenza, possessione, incomprensione, debolezza. Vuole tutto tutto tutto, ora!
Ci ritroviamo in strada. Soliti rumori...il pianeta è un gigante rotolo di nastro rovinato.
- "Vado a bere con qualche amico al bar delle Colonne. Hai tu la mia chiave..."- mi dice con lo sguardo fisso per terra.
- "A dopo"- gli rispondo e mi allontano dal lato opposto per prendere la metropolitana. Ognuno la sotto è preso dai suoi pensieri. Metto le cuffie e prendo il mio posticino dentro allo stomaco del serpente rumoroso, che sfreccia instancabile giorno e notte, a collegare testa e piedi della città, senza mai toccare il cuore.
Mi soffermo sui visi, quanti visi...chi un lavoro ce l'ha ma vuole cambiarlo, chi non ha più una casa, chi non ha un regolare permesso di soggiorno, chi ha abbandonato i figli, chi vuole una borsa nuova, chi non riesce a pagarsi l'assicurazione...Chi è questa gente? Riusciranno mai a capire me? E io riuscirò mai a capire loro?
Frank rientra molto tardi. Ha bevuto al solito bar, da solo, a cercare di capire tutto questo. Si butta sul letto. Una volta finito di correggere certe bozze al computer, lo raggiungerò.
E gli dèi curiosi scatteranno la foto all'epicentro del tornado.







(*da Tropico del Cancro di Henry Miller)

martedì 1 settembre 2020

CREDO SIA TUTTO



Ho deposto i ricordi

i ricami su cartastraccia

ho svuotato le tasche dalle bizzarrie

e no, non c'è niente di bello 

nella pioggia del 01.34

quando si è vuoti di attese.

La tempesta ispira 

quando si brama Il segno.

Chiedi al rammaricato

all'esiliato

al frenastenico

al dimenticato

quanto sia bella la pioggia del 01.34.

Temo di poter soccombere alla felicità

per questo capovolgo desideri

davvero

credo sia tutto,

tutto.


Ho tentato d'accorciare ore e distanze

conservo le spiegazioni

in barattoli sottovuoto

- come esperimenti fallimentari-

quelli mi fissano dalle mensole

risparmiandomi i perché.

Non ho mai saputo sintetizzare le parole 

( come L.Cohen)

ma tu, almeno, potevi amarmi

lo stesso.


Non ho mai voluto la montagna

ma ho fatta sanguinare la mente

scalandoti

una volta in cima

il petto ha ceduto.

Una vittima ignara del crimine

può assolvere il carnefice?

Un errore non indotto

deve per forza essere vergogna?

Proteggo le mie creature malate

un'altra notte in più 

il Sole se la cava;

un raggio sul piede destro

la vita è oltre la fuga

un raggio sulla fronte

i canti che non ascolterai.

venerdì 28 agosto 2020

SCARABEI STERCORARI TECNOLOGICAMENTE EQUIPAGGIATI

 

Perché dovrei pensare a Anne Sexton,

a Van Gogh, alla Cvetaeva, a David Foster Wallace?

Perché dovrei preoccuparmene,

rivangare le pagine delle loro vite

come se ne andasse della mia salute mentale?

Voglio smetterla con i libri

quelli sono solo rogna e bile nera,

il sollievo spirituale

dura il tempo di un sospiro,

il tempo del calcio di un cavallo.

Voglio smetterla con le domande,

con la trasvalutazione dei valori

con gli eterni ritorni

di emicranie e solitudini,

voglio pensare al cavallo sotto forma di tartare

voglio credere che la matematica, beh,

che non serva a nulla

anzi voglio esserne certa,

pretendo di essere felice!

Non tollererò più Whitman e Rimbaud.

Voglio sbronzarmi di certezze.

A cosa diavolo serve l'anima

se milioni di esseri ne vivono senza

ci fanno i falò e ci danzano intorno?!

Voglio unirmi al fuoco sacro,

voglio erigere altari alle cose che non conosco

quotare in borsa la mia religione,

santificare partiti

diagnosticare prostatiti.

Liberatemi!

Voglio sapere di sapere di sapere di sapere

che quel Socrate la cicuta se l'è proprio meritata

e Gauss e tutti i cervelloni

arsi dal disagio

potevano dissetarsi a colpi di cola e ghiaccio- 

"la formula della felicità"!

Non voglio capire perché Ginsberg scelse la pederastia alla guerra.

La guerra.

La guerra.

La voglio rivalutare la guerra

e la pubblicità

e la terra piatta

e le ciliege ai funerali

e la beata routine da scarabei stercorari

tecnologicamente equipaggiati

mangia-lavora-procrea-muori.

venerdì 10 aprile 2020

LE GUERRE CONFUSE



Abbiamo appeso dei cd in balcone, tre file da tre
dovrebbero tenere lontani i piccioni
col loro luccichio
di giorno
di notte suonano canzoni morte
di giorno disturbano i vicini, credo
col loro luccichio pare tengano lontana la vita.
Digerita l’euforia, c’è una gran fame di suoni
lo sguardo, non più infastidito dalla rete,
si getta famelico  oltre la strada
ai marciapiedi,
là, laggiù nel giardino deserto del seminario
i lavori tacciono
i cd continuano a sbrilluccicare
gli alberi rassegnati nascondono le gazze
i dialoghi strisciano apatici
si bloccano sulle dita smangiucchiate
rimandano
si cambiano d’abito, si convertono in sospiri
si auto digeriscono
poi si espellono – tesi – come corpi estranei
su un palcoscenico allestito a festa
mentre i cd
tre file da tre
sotto un sole indifferente
tengono lontani i piccioni col loro luccichio
ancora un giorno in più
i lampioni si accendono , un’altra notte in più
le stelle deridono la nostra impazienza
la nostra lungimirante miopia.

Quando la muta realtà atterra
la sofferenza perde il suo romanticismo.
In strada i suoni si esauriscono
come finali inconcludenti di film che non ricorderemo,
i cieli s’oscurano
di stormi d’uccelli che hanno dimenticato di migrare,
le stanze soffocano in gesti
che hanno dimenticato di vivere,
 alle pareti germogliano piante carnivore
- noi, idrofobi, non troviamo fonti in cui affogare.
Le albe si susseguono,  l’anima del mondo
mi fa male qui, sulla punta dei polpastrelli
s’ammutolisce e si trascina pigra
mentre i piccioni ridacchiano di nascosto
i cd appesi in balcone,  tre file da tre
sbrilluccicano
tacendo
canzoni morte.

sabato 28 marzo 2020

ORA CHE SULLA STRADA NON E' RIMASTO NULLA



Insegnami ad affacciarmi alla finestra
ora che sulla strada non è rimasto nulla,
a conquistare i tetti
a educare il silenzio
a non aspettarmi altro
come quando scrivo e scrivo per te.

Insegnami a ignorare la sconfitta
giunta come un passo sbagliato
durante la nostra danza sgraziata,
a ridere più del necessario
a bere più del dovuto
ad addomesticare l’impazienza e ritrovarmi.

Insegnami a frenare la disillusione
ora che l’amore ci ha abbandonati
in una stazione sconosciuta
ripartendo di fretta
alla ricerca di vittime più docili
di vincitori meno arrendevoli.

Insegnami ad amarti come quando scrivo
a non invidiare gli uccelli
a fare pace col mattino
dentro a questo labirinto pieno di finestre
-alle quali torneremo ad affacciarci-
ora che sulla strada non è rimasto nulla.