Fissavo la punta delle dita
dei piedi e delle allucinazioni.
Tu lucido, in quella malattia
che rubava capelli e pudore,
mi avvicinasti
come fanno le farfalle con le lampadine.
Poi mi stringesti
dentro il palmo sudato,
io vi posai sciocchi giuramenti
come previsioni metereologiche
per il prossimo weekend nell'eternità.
Tu non dicesti una parola
-sorridevi-
la fronte invasa da brutte streghe.
Ah, la tua fronte!
Su un divano dalla fodera orientale
confessasti di nascondere
noiosi segreti,
non mi piacciono le verità, ti dissi,
e nemmeno lo scotch,
non quando lo bevono gli altri almeno.
Scomposi le albe di febbraio,
l'ordine dei corpi,
le cornici dei tuoi viaggi dimenticati,
l'ordine della tua cucina,
scomposi il vivere ed il morire in un Uff.
Tu ricamasti un lungo sguardo
sull'oro della mia pelle
- e mentre la luna sbirciava-
dicesti che ti bastava un dito.
Nello stupore, dormimmo,
a lungo
dormimmo.