“Forse Michelangelo sta aspettandomi”- pensò davanti a una vetrina appannata-
“alla fine il freddo è arrivato, e io che temevo non arrivasse mai. Un Natale
al caldo è simpatico, ma solo se sei in crociera. “
Il bar del cinese all’angolo di Corso Umberto era pieno. Eveline si
fermò al di là del semaforo e ci pensò un attimo. L’istinto accese due
sentimenti discordanti: senso di colpa ed eccitazione. Il senso di colpa era
questa meravigliosa eredità lasciatale dai genitori. Bisogna essere bravi sì,
bravi, buoni, gentili, rispettosi, silenziosi…se sei una donna poi! Bisogna
studiare, lavorare, non perdere tempo, imparare, progredire ma guai se poi te
ne vanti! La poesia tienitela come hobby. Niente complimenti, tutto è dovuto, tutto
tranne fare un figlio; se fai un figlio i complimenti te li becchi come se
avessi vinto il Nobel! Se vinci il Nobel, invece, giusto due foto ricordo e una
cartolina a tema con i più vivissimi complimenti.
Mentre iniziava a sentire male ai denti per il digrignamento
involontario, si accorse di essere già seduta dietro al bancone del bar. Tommi,
il barista (di cui nessuno sapeva il vero nome) le sorrise mentre serviva
Berto. La maggior parte dei presenti erano frequentatori fissi. Su tutti gli
odori capeggiava l’acqua di colonia del barbiere.
“Pochi usano ancora l’acqua di colonia?”- pensò. L’acqua di colonia le
faceva pensare a suo nonno. Le occasioni in cui l’aveva visto tutto agghindato
erano poche. Per tutta la vita non se l’era potuto permettere. Quando alla fine
poteva, la giacca sgualcita aderiva così bene alla sua personalità che vi
rinunciava volontariamente.
Da tempo riaffioravano tutte queste piccole cose in cui si
assomigliavano tanto: agghindarsi non era mai stato nemmeno il suo forte.
Recuperava i residui di un fondotinta vecchio di un anno con una forcina per capelli. Non riteneva necessario cambiarsi d’abito.
Ma i cappelli, era gelosa dei suoi cappelli.
“Ultimamente la frenesia di tutti i cambiamenti ci ha portato a dare
per scontato molte cose. Ma questa, questa mio dio, mi sento rinata e non vedo
l’ora di celebrare la notizia come conviene”- pensò mentre sorseggiava un
bicchiere di vino della casa.
“Cos’hai nella tasca del cappotto, signorina?”- chiese Berto, un
professore in pensione caduto in disgrazia quando la moglie gli chiese il
divorzio dopo 35 anni di matrimonio.
“Odi ed epodi di Orazio.”
“Passa un po’ qui…Tommi, riempi il bicchiere alla ragazza, su, offro
io. <Luce di paesaggi, danze amore, conviti con gli amici e in sottofondo l’affanno
del tempo che fugge..nelle Odi e negli Epodi Orazio riverso le tensioni di una
vita perennemente agitata dall’inquietudine e dall’insoddisfazione> …cough,
hmmm.
“Lo hai letto?”
“No…cough…no. Ma so bene cosa ci trovo dentro, lo so, alla mia età non
ho bisogno più di leggere Orazio.”
“Non credo che l’età sia certificazione di saggezza. Sarai mica di
quelli che pensano che gli adulti non devono più studiare perché hanno studiato all’università della vita???”
“Ma no, non è quello… Dove sta il tuo maritino?”
“A casa, infatti dovrei sbrigarmi a tornare, l’ho lasciato solo per
tutto il giorno.”
“Da solo, mah, magari ci sta bene.”
“Non sono tutti come te, Bertoooo, pazzo solitario” - gridò il proprietario
del ristorante La Brocca che era entrato da pochi minuti. Aveva l’abitudine di
fermarsi al bar per un aperitivo ogni sera prima di aprire il ristorante. Un’abitudine
che sapeva di poesia, per Eveline.
“Non dire cazzate Stefanino, che ne sai tu della pazzia e soprattutto della
solitudine…lo sapete”- continuò Berto- “c'è da stare attenti con le parole. In
inglese per esempio, ci sono due parole per dire "solitudine": solitude e loneliness. La prima è beatitudine, la seconda un bastardino sotto
la pioggia sbranato dalla ferocia del mondo..cough cough grrr” - la tosse lo
perseguitava in ogni momento della giornata così consacrava il bancone e tutti
i bicchieri con la benedetta saliva di chi non ha più niente da vincere o
perdere. Erano solo le 17.30 ma fuori s'era fatto buio. Ogni volta che un cliente
entrava o usciva dal bar una nuvola di nebbia si insinuava dalla porta come in
un racconto di Edgar Allan Poe.
“Ma il poeta, il poeta miei cari, vive entrambe queste solitudini.
Nella beatitudine la sua anima si incastra perfettamente tra le crepe
dell'Universo e diventa luce. Nell'inferno della loneliness pare che la sua
anima sia il pezzo difettoso nel puzzle del mondo..cough cough cough”- questa
volta un attacco più acuto lo fece ingobbire su se stesso con il viso quasi
spiaccicato sul bancone.
“Hey Tommi, versamene un altro. Il poeta è un disgraziato, non ha filtri
nel bene e nel male. “
Berto nel frattempo era stato circondato da curiosi che più che dai
suoi discorsi erano attratti dalla stramberia dell'uomo.
“...ma io mica sono un filosofo, li vedi questi occhi, vedi, questi
fanno ciak ciak e fotografano il mondo. Io questo faccio e ti dico, credimi che
non c'è mai stato un rapporto più d'odio che tra poeta e madre. Prendi
Rimbaud...o quello Pasolini o Ginsberg o..hmmm, sì, insomma..tanto odio. Ché il
poeta non sa mentire e trascende i rapporti di sangue quando si tratta di
giudicare il mondo secondo coscienza. Ma anche tanto amore; ché il poeta non sa
odiare, tra solitude e loneliness impazzisce nel dilemma delle sue mille anime.”
“Bertooooo” - gridò il barbiere di Piazza Casotti seduto qualche
sgabello più giù- “tès bròntlon, una birra volevo godermi dopo il lavoro ma tu,
ah ch' ét gnés 'n antcōr!”
Tutti risero, anche Berto, ma la sua era una risata amara.
Eccolo, lo vedete, il poeta annoia, deprime. E' difficile spalancare
l'anima e sposarsi madama loneliness, meglio avanzare come ciechi ed essere
felici.
Il piccolo show di Berto attraeva Eveline, le piaceva starlo a
sentire. Tra la giacca consumata e la tosse incessante, le faceva pensare al nonno.
Nel finto mondo borghese e benpensante dove ero cresciuta, il mondo del "si
sa ma non si dice", dove rispettarsi pareva un comandamento del galateo
più che un vero sentimento, dove il linguaggio consono nascondeva mille
indecorosi rancori, il nonno e la sua bocca d'alcool e verità era una boccata
d'aria fresca; lui e la sua rabbia di chi non ha mai vinto: lui e l'odio per
l'ipocrisia. Lui e la voglia di celebrare la vita, ogni volta fosse possibile-
lo ricordava ballare.
Eveline pagò Tommi e se ne uscì discretamente. Berto, il ristoratore,
il barbiere e tutti i presenti avevano spostato il discorso sul lavoro. Avrebbero
litigato per una mezz’oretta sulla questione poi il bar si sarebbe svuotato e
ognuno sarebbe andato per la propria strada per poi ritrovarsi l’indomani più
vecchi e immutati di prima.
“Michelangelo salterà di gioia, era così ansioso di sapere come
sarebbe andata. Dobbiamo festeggiare, dobbiamo assolutamente festeggiare,
celebrare l’attimo e il futuro”- pensava Eveline mentre si avvicinava alla
porta.
“Tesoro….”
“Sono in cucina Eveline…”
Eveline entrò in cucina e vide Michelangelo piegato sotto il
lavandino.
“Hey…” e attese, ferma sulla porta, di incrociare il suo sguardo
mentre le mani già iniziavano a sudarle un po’.
“Questo stupido lavandino perde, è tutto il pomeriggio che ci sto
impazzendo ma non capisco dove sta il problema, volevo farti trovare la cena
pronta ma guarda qua…”
“Non vuoi sapere come è andata?”- tali domande non avevano più senso
per Eveline, erano segno di un fallimento mai recuperabile, ma la meravigliosa
eredità genitoriale era una zavorra difficile da scaricare.
“Ah, cavoli, sì, cavoli cosa ti hanno detto?”- lui corse verso di lei
e le prese le mani.
“Non è tumore. Sono sana. Yuppi!”- lei scostò le mani nel modo più
rispettoso possibile- “scendo a buttare la spazzatura, questa mattina me la
sono dimenticata.”
“Ok, finisco qui e poi ceniamo…hai già molta fame?”
“No, fai con calma”- fece Eveline già sul pianerottolo. Prima di
salire si sedette davanti al portone. Sospirò profondamente.
“Spero prepari il pollo, il pollo croccante, sì sarebbe proprio
perfetto!”- pensò. Il giardino era pieno
di foglie rosse e gialle. Non marcivano, erano cadute da settimane ma non
marcivano.
Come se cercassero di celebrare un’abitudine ormai scomparsa, l’abitudine
alla vita.