In
treno c’era un gran silenzio. Il controllore sonnecchiava nel sedile vicino all’uscita.
Dopo un autunno soffocante e un inverno che non accennava a dare segni di vita,
finalmente dicembre aveva portato piogge abbondanti e gelate mattutine. Erano
passati due mesi da quel giorno. Eveline non pensava a nulla. Di tanto in tanto
controllava l’orario e poi si rimetteva a godersi la musica e le gocce di
pioggia che sbattevano contro i finestrini. Finalmente, dopo tanti anni,
tornava a viaggiare verso qualcosa e non contro.
Lei
e Giorgio si erano trasferiti in un tranquillo quartiere di periferia da meno
di un anno. La casetta era davvero deliziosa. Il prato perfettamente curato. Lo
zerbino intonato alle ringhiere. Il mobilio vintage, maggiormente di seconda
mano era magnificamente disposto per creare un ambiente accogliente. In casa
loro c’era spesso un gran silenzio. Chissà cosa ne pensavano i vicini?
La
casetta di fronte era la loro gemella indemoniata. Il prato quasi inesistente invaso
da una discarica a cielo aperto. Poltrone, utensili arrugginiti, una piscinetta
gonfiabile quasi sempre sgonfia e maleodorante per l’acqua stagnante. Alle
finestre neanche una tenda e per il baccano che si sentiva giorno e notte si
poteva pensare che non ci fossero neanche i vetri. In quella casetta abitavano
Rosa e il Bomba- così chiamavano il marito di Rosa, nessuno conosceva il suo
vero nome. C’erano poi Giulia, Patti e il piccolo Tommi, i loro tre figli. I
coniugi Bomba Rosa erano poveri ma quella casa la signora l’aveva ereditata da
una zia ricca e ne andava molto fiera. Il secondo giorno che erano lì, Eveline
aveva incontrato Rosa nel vialetto, tutta vestita di nero. Andava di fretta e
controllava chissà cosa dentro a un cesto di vimini. Scambiati i convenevoli
Rosa le avrebbe detto:
“Devo scappare amo’, sto andando all’obitorio,
voglio fare le unghie alla mia zietta, non mi fido di quei truccatori di morte,
la zia non si faceva toccare le unghie da nessuno tranne che da me!”
Quel
dialogo aveva entusiasmato Eveline oltremodo. Quei vicini, che per i borghesi
del quartiere erano un cancro da estirpare, erano per lei una salvezza. Quella
stessa sera, durante la cena, aveva iniziato a raccontare la scena a Giorgio ma
lui, come era solito, l’aveva zittita perché in TV c’era Blob. Finita la
puntata le aveva chiesto “cosa dicevi
cara?”, lei aveva risposto “niente di
importante” e così si era andati oltre.
Il
signor Bomba era un piccolo furfante che di professione faceva il camionista.
Ogni volta che tornava a casa iniziava a strombettare da in fondo alla via
urlando Rosa, Rosa mia. Rosa correva fuori in giardino. A volte con i bigodini
in testa, a volte in mutande, a volte con una padella in mano. Il signor Bomba
parcheggiava alla meglio e correva verso di lei, sempre con una rosa in mano.
Era capitato 274 volte, Eveline le aveva contate. Le uniche due volte che non
era tornato a casa, Rosa si era messa il vestito buono, aveva preso il borsello
dei risparmi e si era rivolta all’avvocato per farlo uscire di galera. Insomma,
i coniugi Bomba Rosa si amavano in un modo tutto loro ma a Eveline quell’amore
piaceva.
Una
volta era seduta in veranda con una bottiglia di vino. Ultimamente capitava
spesso. Fissava il vuoto e beveva. Giorgio era tutto preso dalle sue ansie
lavorative. Finito il lavoro arretrato si era rintanato in garage. Al rumore
della basculante che sbatteva, Eveline aveva versato una lacrimuccia. Il signor
Bomba nel frattempo strombazzava in lontananza. Una volta sceso dal camion, con
la sua rosa in mano, si era diretto verso la moglie. Questa dalla finestra
della cucina era da un bel pezzo che spiava Eveline.
“
Amo’, vai a darle la rosa, porella…”- aveva detto al marito. Questi, dopo un
primo rifiuto aveva obbedito, come ogni innamorato.
“Signora
la mia mogliera le manda questa rosa con i suoi omaggi”- aveva detto il Bomba a
Eveline attraversando il cancelletto aperto.
Eveline
era corsa in casa: “il Bomba mi ha
regalato una rosa, ma che mer…”. Giorgio russava steso sul divano mentre la
televisione gli illuminava il viso.
Giorgio
era un giovane uomo pieno di invettiva. Faceva l’impiegato e nel tempo libero
si dilettava con le sue invenzioni in garage. Non aveva avuto un’infanzia
facile e neanche una solida formazione culturale ma si era fatto da sé, con
grande dedizione e cocciutaggine ma con poca anima. Era ambizioso ma non
cattivo. In fondo a se stesso sapeva di non avere nessun talento ma questo non
lo aveva mai fermato dal farsi notare e lodare. Gli piaceva piacere- questo,
nei primi anni della relazione, inteneriva Eveline. Da molto tempo la
infastidiva.
La
loro relazione era iniziata in uno di quei modi con cui puoi concludere un film
strappamutande sull’amore, tutte scintille e passione. Con la nuova casa e il
nuovo impiego, Giorgio aveva finito i fiammiferi, Eveline la pazienza per
accendere un fuoco con legna bagnata.
Quella
notte di ottobre il cielo era sereno, la luna piena e la temperatura ancora
troppo mite per la stagione.
“Questa
volta si sarà davvero spaventato. Ci sarà gente fuori di casa, nel vialetto. E
magari la polizia sì, magari anche la polizia. Chissà quante volte avrà
chiamato, tremando al cellulare spento. Devo affrettare il passo, sì, forse
sono stata troppo cattiva. Chissà quanto avrà pianto Giorgio, chissà quanto
soffre adesso, ripensando a tutta la nostra vita insieme. Mortificato per i suoi
errori. Ognuno ha bisogno di una seconda chance. Ci siamo, devo stare calma,
abbracciarlo e tutto sarà finito.”
Girò
l’angolo. Il gatto di Teresina attraversò la strada miagolando. I coniugi Bomba
Rosa facevano un barbecue nel giardino sul retro. Lei indossava una gonna rosa,
degli stivaletti bianchi e un giaccone di pelle nera. Lui la stringeva per i
fianchi mentre girava le salsicce. Il piccolo Tommi piangeva mentre Patti e
Giulia monopolizzavano i comandi di un piccolo drone. Beretti chiudeva le veneziane,
bofonchiando in dialetto. Solo la loro casa taceva, un silenzio da apnea.
Eveline credeva di soffocare. Chiuse il cancelletto dietro di sé e rimase
immobile. Dalla finestra della sala solo le luci della televisione.
“Hey
sei qui…vuoi che cucini qualcosa?”- chiese Giorgio.
“Non
ti sei preoccupato che non ci fossi?”- rispese Eveline dopo un profondo
respiro.
“Ho
letto il bigliettino..ho pensato volessi startene un po’ per i fatti tuoi. C’è
qualcosa che non va?! Ah domani ho una riunione, torno tardi…Io ho già
mangiato, sai non sapendo quando rientravi.”
“E
se non fossi rientrata?”- disse lei sotto voce.
“Cosa?
Hai detto niente? Questi maledetti vicini...ma quanto baccano fanno alle undici
di sera. Bomba…bah, Bomba…dove sei?”
“In
bagno, voglio farmi una doccia.”
“Eh
dimmelo però, cioè..ma che hai?”
“Niente
Giorgio. Niente. Vedo che non ti sei preoccupato neanche un po’ della mia
assenza.”
“Ma
c’era il bigliettino! Oh inizi però…ma di cosa dovevo preoccuparmi? Se mi
preoccupo sono soffocante, se non mi preoccupo sono una merda. Ti lascio il tuo
spazio e sono un insensibile. Cos’è, è per caso per la cena? Te la preparo la
maledetta cena.”
“E
io, ci sarà la polizia…”- disse lei sotto la doccia, con una rassegnazione che
solo un uomo saggio conosce.
“Polizia,
ma che farfugli. Ma di cosa dovevo preoccuparmi poi, c’era il
bigliettino..nemmeno fosse scoppiata la casa.”
Quella
sera mangiò un piatto di pasta preparato con premura da Giorgio. Il bigliettino
giaceva ancora sul tavolo: “non cercarmi!”.
Il
giorno dopo raccolse i suoi risparmi dal barottolo di argilla sulla mensola
della cucina. Nel giardino dei Bomba Rosa tre gatti si azzuffavano per il
bottino trovato dentro il pattume dell’umido. Eveline suonò alla porta. Rosa si
presentò con la sua vestaglia di cotone e i bigodini gialli in testa.
“We,
amo’, vieni accomodati.”
“C’è
tuo marito Rosa?”
“Sì
sì, è di là con quelle pazze delle mie sorelle. Amo’ c’è la vicinaaaaaaa. Amo’,
vieni. Molla quelle bagasce. Le sta aiutando con i vestiti di damigelle, sai
cara, ci rifacciamo le promesse nuziali, ce credi?!”
“Siete
molto teneri. Vi invidio.”
“Aho
che c’è?”
“Bomba,
avrei un favore da chiederti. Dovrei far abbattere il muro della sala. Tu sei pratico di queste cose?”
“Signora
cara, io sto a cucire i vestiti per due pazze scatenate di damigelle 40-enni.
Ma che non so far abbattere un muro secondo te? Ma perché? Cioè è tutto
regolare? Sai bella, io c’ho le mie rogne. Non ne voglio altre…..”
Eveline
era scoppiata a piangere. Rosa aveva allertato tutta casa. Bevuta un po’
d’acqua tiepida portata dalla sorella damigella più svelta, in un bicchiere
rosa, disse.
“No,
non è tutto in regola. Scusa, va bene lo stesso…scusatemi. Siete molto belli. Ora
vado, felicitazioni!”
Qualche
giorno dopo, tornato da uno dei suoi viaggi con una rosa in mano, il Bomba
l’aveva avvicinata nel vialetto.
“Bella
mia, tutto in regola. Dimmi solo quando…che ci stanno a fare i vicini se no?!”
Erano
già passati due mesi. Il treno procedeva lento. C’era un bel calduccio nel
vagone e fuori era calata la notte. Chissà se Bomba aveva fatto un buon lavoro?