sabato 26 ottobre 2019

BOMBA ROSA




In treno c’era un gran silenzio. Il controllore sonnecchiava nel sedile vicino all’uscita. Dopo un autunno soffocante e un inverno che non accennava a dare segni di vita, finalmente dicembre aveva portato piogge abbondanti e gelate mattutine. Erano passati due mesi da quel giorno. Eveline non pensava a nulla. Di tanto in tanto controllava l’orario e poi si rimetteva a godersi la musica e le gocce di pioggia che sbattevano contro i finestrini. Finalmente, dopo tanti anni, tornava a viaggiare verso qualcosa e non contro.
Lei e Giorgio si erano trasferiti in un tranquillo quartiere di periferia da meno di un anno. La casetta era davvero deliziosa. Il prato perfettamente curato. Lo zerbino intonato alle ringhiere. Il mobilio vintage, maggiormente di seconda mano era magnificamente disposto per creare un ambiente accogliente. In casa loro c’era spesso un gran silenzio. Chissà cosa ne pensavano i vicini?
La casetta di fronte era la loro gemella indemoniata. Il prato quasi inesistente invaso da una discarica a cielo aperto. Poltrone, utensili arrugginiti, una piscinetta gonfiabile quasi sempre sgonfia e maleodorante per l’acqua stagnante. Alle finestre neanche una tenda e per il baccano che si sentiva giorno e notte si poteva pensare che non ci fossero neanche i vetri. In quella casetta abitavano Rosa e il Bomba- così chiamavano il marito di Rosa, nessuno conosceva il suo vero nome. C’erano poi Giulia, Patti e il piccolo Tommi, i loro tre figli. I coniugi Bomba Rosa erano poveri ma quella casa la signora l’aveva ereditata da una zia ricca e ne andava molto fiera. Il secondo giorno che erano lì, Eveline aveva incontrato Rosa nel vialetto, tutta vestita di nero. Andava di fretta e controllava chissà cosa dentro a un cesto di vimini. Scambiati i convenevoli Rosa le avrebbe detto:
 “Devo scappare amo’, sto andando all’obitorio, voglio fare le unghie alla mia zietta, non mi fido di quei truccatori di morte, la zia non si faceva toccare le unghie da nessuno tranne che da me!”
Quel dialogo aveva entusiasmato Eveline oltremodo. Quei vicini, che per i borghesi del quartiere erano un cancro da estirpare, erano per lei una salvezza. Quella stessa sera, durante la cena, aveva iniziato a raccontare la scena a Giorgio ma lui, come era solito, l’aveva zittita perché in TV c’era Blob. Finita la puntata le aveva chiesto “cosa dicevi cara?”, lei aveva risposto “niente di importante” e così si era andati oltre.
Il signor Bomba era un piccolo furfante che di professione faceva il camionista. Ogni volta che tornava a casa iniziava a strombettare da in fondo alla via urlando Rosa, Rosa mia. Rosa correva fuori in giardino. A volte con i bigodini in testa, a volte in mutande, a volte con una padella in mano. Il signor Bomba parcheggiava alla meglio e correva verso di lei, sempre con una rosa in mano. Era capitato 274 volte, Eveline le aveva contate. Le uniche due volte che non era tornato a casa, Rosa si era messa il vestito buono, aveva preso il borsello dei risparmi e si era rivolta all’avvocato per farlo uscire di galera. Insomma, i coniugi Bomba Rosa si amavano in un modo tutto loro ma a Eveline quell’amore piaceva.
Una volta era seduta in veranda con una bottiglia di vino. Ultimamente capitava spesso. Fissava il vuoto e beveva. Giorgio era tutto preso dalle sue ansie lavorative. Finito il lavoro arretrato si era rintanato in garage. Al rumore della basculante che sbatteva, Eveline aveva versato una lacrimuccia. Il signor Bomba nel frattempo strombazzava in lontananza. Una volta sceso dal camion, con la sua rosa in mano, si era diretto verso la moglie. Questa dalla finestra della cucina era da un bel pezzo che spiava Eveline.
“ Amo’, vai a darle la rosa, porella…”- aveva detto al marito. Questi, dopo un primo rifiuto aveva obbedito, come ogni innamorato.
“Signora la mia mogliera le manda questa rosa con i suoi omaggi”- aveva detto il Bomba a Eveline attraversando il cancelletto aperto.
Eveline era corsa in casa: “il Bomba mi ha regalato una rosa, ma che mer…”. Giorgio russava steso sul divano mentre la televisione gli illuminava il viso.
Giorgio era un giovane uomo pieno di invettiva. Faceva l’impiegato e nel tempo libero si dilettava con le sue invenzioni in garage. Non aveva avuto un’infanzia facile e neanche una solida formazione culturale ma si era fatto da sé, con grande dedizione e cocciutaggine ma con poca anima. Era ambizioso ma non cattivo. In fondo a se stesso sapeva di non avere nessun talento ma questo non lo aveva mai fermato dal farsi notare e lodare. Gli piaceva piacere- questo, nei primi anni della relazione, inteneriva Eveline. Da molto tempo la infastidiva.
La loro relazione era iniziata in uno di quei modi con cui puoi concludere un film strappamutande sull’amore, tutte scintille e passione. Con la nuova casa e il nuovo impiego, Giorgio aveva finito i fiammiferi, Eveline la pazienza per accendere un fuoco con legna bagnata.
Quella notte di ottobre il cielo era sereno, la luna piena e la temperatura ancora troppo mite per la stagione.  
“Questa volta si sarà davvero spaventato. Ci sarà gente fuori di casa, nel vialetto. E magari la polizia sì, magari anche la polizia. Chissà quante volte avrà chiamato, tremando al cellulare spento. Devo affrettare il passo, sì, forse sono stata troppo cattiva. Chissà quanto avrà pianto Giorgio, chissà quanto soffre adesso, ripensando a tutta la nostra vita insieme. Mortificato per i suoi errori. Ognuno ha bisogno di una seconda chance. Ci siamo, devo stare calma, abbracciarlo e tutto sarà finito.”
Girò l’angolo. Il gatto di Teresina attraversò la strada miagolando. I coniugi Bomba Rosa facevano un barbecue nel giardino sul retro. Lei indossava una gonna rosa, degli stivaletti bianchi e un giaccone di pelle nera. Lui la stringeva per i fianchi mentre girava le salsicce. Il piccolo Tommi piangeva mentre Patti e Giulia monopolizzavano i comandi di un piccolo drone. Beretti chiudeva le veneziane, bofonchiando in dialetto. Solo la loro casa taceva, un silenzio da apnea. Eveline credeva di soffocare. Chiuse il cancelletto dietro di sé e rimase immobile. Dalla finestra della sala solo le luci della televisione.
“Hey sei qui…vuoi che cucini qualcosa?”- chiese Giorgio.
“Non ti sei preoccupato che non ci fossi?”- rispese Eveline dopo un profondo respiro.
“Ho letto il bigliettino..ho pensato volessi startene un po’ per i fatti tuoi. C’è qualcosa che non va?! Ah domani ho una riunione, torno tardi…Io ho già mangiato, sai non sapendo quando rientravi.”
“E se non fossi rientrata?”- disse lei sotto voce.
“Cosa? Hai detto niente? Questi maledetti vicini...ma quanto baccano fanno alle undici di sera. Bomba…bah, Bomba…dove sei?”
“In bagno, voglio farmi una doccia.”
“Eh dimmelo però, cioè..ma che hai?”
“Niente Giorgio. Niente. Vedo che non ti sei preoccupato neanche un po’ della mia assenza.”
“Ma c’era il bigliettino! Oh inizi però…ma di cosa dovevo preoccuparmi? Se mi preoccupo sono soffocante, se non mi preoccupo sono una merda. Ti lascio il tuo spazio e sono un insensibile. Cos’è, è per caso per la cena? Te la preparo la maledetta cena.”
“E io, ci sarà la polizia…”- disse lei sotto la doccia, con una rassegnazione che solo un uomo saggio conosce.
“Polizia, ma che farfugli. Ma di cosa dovevo preoccuparmi poi, c’era il bigliettino..nemmeno fosse scoppiata la casa.”
Quella sera mangiò un piatto di pasta preparato con premura da Giorgio. Il bigliettino giaceva ancora sul tavolo: “non cercarmi!”.
Il giorno dopo raccolse i suoi risparmi dal barottolo di argilla sulla mensola della cucina. Nel giardino dei Bomba Rosa tre gatti si azzuffavano per il bottino trovato dentro il pattume dell’umido. Eveline suonò alla porta. Rosa si presentò con la sua vestaglia di cotone e i bigodini gialli in testa.
“We, amo’, vieni accomodati.”
“C’è tuo marito Rosa?”
“Sì sì, è di là con quelle pazze delle mie sorelle. Amo’ c’è la vicinaaaaaaa. Amo’, vieni. Molla quelle bagasce. Le sta aiutando con i vestiti di damigelle, sai cara, ci rifacciamo le promesse nuziali, ce credi?!”
“Siete molto teneri. Vi invidio.”
“Aho che c’è?”
“Bomba, avrei un favore da chiederti. Dovrei far abbattere il muro della sala. Tu  sei pratico di queste cose?”
“Signora cara, io sto a cucire i vestiti per due pazze scatenate di damigelle 40-enni. Ma che non so far abbattere un muro secondo te? Ma perché? Cioè è tutto regolare? Sai bella, io c’ho le mie rogne. Non ne voglio altre…..”
Eveline era scoppiata a piangere. Rosa aveva allertato tutta casa. Bevuta un po’ d’acqua tiepida portata dalla sorella damigella più svelta, in un bicchiere rosa, disse.
“No, non è tutto in regola. Scusa, va bene lo stesso…scusatemi. Siete molto belli. Ora vado, felicitazioni!”
Qualche giorno dopo, tornato da uno dei suoi viaggi con una rosa in mano, il Bomba l’aveva avvicinata nel vialetto.
“Bella mia, tutto in regola. Dimmi solo quando…che ci stanno a fare i vicini se no?!”
Erano già passati due mesi. Il treno procedeva lento. C’era un bel calduccio nel vagone e fuori era calata la notte. Chissà se Bomba aveva fatto un buon lavoro?