"Ma
la terra con la quale
ti sei fatto
di ghiaccio
non potrai
più smettere di amarla"-
Majakovskij
I
vialetti del giardino erano sommersi da foglie- di che colore sono i vialetti?
Rosso-rosso foglia! Di che colore è l'autunno del giardino? Buio-rosso foglia!
Passeggiava
tenendo in mano una tazza da caffè americano con un goccio di coca e rhum
rimasto sul fondo. Indugiava con le labbra sul bordo- come se quell'ultima
goccia potesse urlarle la risposta-la risposta. In verità, pensò, lei non stava
cercando nessuna risposta. Da settimane pensieri gelidi le abitavano le dita. Non
era tempo per scrivere
in
strada immaginava insegne di bar
piazze
desolate
scarpe
colorate
donna
girovaga di via San Vittore con i suoi riccioli pazzi sporchi
bustine
di zucchero-guinzagli- rosso stop
venditori
di fiori
divorzisti
con valigette di pelle
cuoricini
di cioccolato-neve finta-e dentro quel giardino
il silenzio. Macchia gelida sugli occhi del
ricordo-eppure era stato tutto così vero una volta!
Colpì
un mucchio di foglie e si fermò a guardare dentro la tazza; bollicine si
formavano sul fondo e scoppiavano mute in superficie-moti dell'animo poetico.
Lui
da qualche settimana si vestiva sempre elegantemente- ma d'un eleganza buffa
come un neolaureato la prima settimana di lavoro nel caro ufficio-gabbia.
Si
arrotolò le maniche della camicia. La piccola biblioteca del dormitorio era
grigia e afosa. Guardò fuori dalla finestra. Era ancora ottobre. Era ancora lì-
sempre mille pagine indietro rispetto agli altri. Quante foglie rosse- pensò-e
lui ancora lì, mille foglie indietro rispetto a tutti gli altri- moti
dell'animo poetico.
Poi
la vide- oh, sapete come corrono i ragazzi selvaggi*?
Ed
era tempo
autunno
rosso-foglie selvagge
donna
con cuoricini di cioccolato
venditori
con valigette di pelle-divorzisti finti
riccioli
desolati-piazze sporche
neve
di zucchero
-bustine
rosse- stop guinzagli- e giardini pazzi...mille moti d'animo che corrono
selvaggi.
Era
tempo per mordere le labbra lungo i vialetti senza colore, con il cuore rosso
buio tremante foglia in gola. Ma lei aveva già conosciuto la sua terra di
ghiaccio.
Infreddolita
perché in maniche corte, bevette l'ultimo sorso di coca&rhum e si girò per
andarsene- travolgendo lui, che con braccia incrociate sul petto le stava
dietro da qualche secondo. Non si sorprese, non emise nessun suono. Lo guardò
negli occhi. Avrebbe potuto allontanarsi come ogni altra volta, ma anche lui
era in maniche corte. Presto avrebbe avuto una smorfia di sofferenza in
viso-sempre mille giorni più tardi degli altri.
-"Ti
ho sognato ieri notte. Eri entrato nella mia stanza. C'era molta confusione. Mentre
la portinaia mi sgridava per l'ennesima volta, tu scivolasti dietro la porta
del bagno e poi uscisti con due libri in mano. Stavi cercando di scappare ma io
ti fermai. Ti trascinai per un braccio e ci sedemmo sul mio letto. Tu eri
timido e io orgogliosa perché stavi per la prima volta vedendo la mia stanza. La
mia stanza è il mio tempio, ne sono molto gelosa. Sul letto c'erano tanti libri
e fogli e il taccuino, ma tu guardavi me e io la stanza-e la stanza noi. Ti
dissi che non potevi rubarmi così i libri e tu rispondesti che ti vergognavi e
io ti dissi che lo sapevo e che ti potevo aiutare. Tu dicesti <lo
so, lo so che puoi, ho letto sai le tue poesie, Marco me le ha sempre fatte
leggere>. Non ho capito chi è questo Marco. Dopo io presi in mano i
libri e ti dissi, <sì, ecco , La
sonata a Kreutzer, ottimo, leggilo> ma tu timido dicesti che quello no,
non te lo sentivi davvero di leggerlo. Mi baciasti sulla guancia e mi svegliai."
Sul
viso di lui una smorfia di sofferenza-
sul viso di lei una nostalgia quieta. Ed ecco un altro sogno che aveva rubato
un pezzo di realtà. Lui rubò un pezzo di realtà al sogno e le sfiorò la mano
viola per il freddo.
Una
sigaretta che brucia sul pavimento
la
stanza dietro a una finestra chiusa
l'erba
incolta di un giardino abbandonato
il
caffè nero in un centro per senzatetto
i
giardini di Kyoto in una cartolina
una
canzone di J.Buckley sul treno in un lungo viaggio di notte.
-"Io
non voglio davvero parlare di Sonata a Kreutzer. No, non m'importa davvero
parlare di morte, tradimento coniugale e gelosia."
-"Coraggioso!"
-"Non
credo..."
Si
erano visti per la prima volta quattro anni prima. Lui aveva abbandonato la
facoltà di legge per lettere. Lei teneva i libri di poesie sotto il banco nelle
grandi aule universitarie. Non si erano mai scambiati una parola prima. A una
festa, tempo addietro, lui si era nascosto dietro alla porta mentre lei sopra
un tavolo lo imitava, scimmiottando ciò che aveva colto di lui- la folla
divertita rideva - lui odiava ma non comprese mai cosa- dure lotte di selvaggi
bambini. Lui non capì mai perché, lei non se ne curò.
Così
scorrevano gli anni
entrambi
cultori della filosofia dei vinti, ai due lati opposti della strada
Kerouac
tra le mani scendendo dall'autobus, Kerouac tra le mani salendo sull'autobus
Cohen
alle orecchie ai due lati opposti della metropolitana
prima
e ultima fila alle letture di poesia
prima
e ultima fila alle conferenze sulla cosmologia.
-"Avresti
dovuto tirarmi per il braccio molto tempo prima, maledizione"- le disse. In
un attimo gli fu chiaro, i fiumi non scorrono a ritroso. Rabbrividì.
-"Avresti
dovuto peccare molto tempo prima."
-"Sto
peccando?"
-"Nel
mio sogno..ma su, niente tradimento coniugale, gelosia e morte. Non parliamone,
lo hai detto tu, no?!"
-"No,
parliamone invece. Cazzo, per la prima volta, parliamone! Contro chi sto
peccando? Il fanciullo dalla chioma bionda che ieri sera all'Entropia ti
baciava la testa?"
"Il
ladro ha lasciata la Luna alla finestra. Lui è solo il ladro..."
"Allora
chi è la Luna...chi?!"
Alzarono
lo sguardo e qualcuno da una finestra del primo piano li stava spiando da
dietro la tenda.
"Rientriamo"
Questi
sono quegli incontri che hanno avuto luogo- molto tempo addietro- in altre
dimensioni. Si palesano in gesti solo quando la realtà impara a imitare la
perfezione dei moti dell'animo- ed è quasi sempre troppo tardi. Si sedettero al
tavolo della biblioteca dove lui stava studiando.
"Un
uomo una città*?"
"Non
dirmi che lo stai leggendo anche tu..."
Lei
sfogliò il libro aiutata dalle mani di lui.
"Cantami una canzone che renda
la morte sopportabile
una canzone di un uomo e di una
donna;
l'enigma di un uomo e di una donna.
Che lingua ci calmerà la sete,
che venti ci solleveranno,
che flutti ci porteranno oltre le
sconfitte
se non il canto, il canto
immortale?"
Mentre
i riccioli le cadevano sulla fronte, il vento spostava le foglie autunno rosso,
il crepuscolo fischiettava lontano lontano, tra poco sarebbe scomparso in fondo
al cielo. Il libro di William Carlos Williams giaceva sul suo letto mentre il
vento intonava una canzone sulle labbra delle tende e batuffoli di polvere
aprivano le danze in mezzo alla stanza.
L'uomo
dall'uniforme verde gettava nel cestino i giornali
parole
morte- da sotto i banchi delle aule universitarie
i
riccioli della donna si addormentavano folli di dolore all'incrocio
cravatte
colorate in colli da suicidio
bancone
di pasticceria lucidato a puntino
orfanotrofi
all'ora di cena
una
chitarra scordata in mano a un girovago
madri lucidate a puntino fuori dalle piscine
ad attendere bambini con giubbotti firmati
l'ultimo
pensiero di un filosofo arreso che brucia dentro la stufa di un appartamento
spoglio.
Lui
le rubò il libro di mano e si alzò volendo scappare. Lei lo tirò per un
braccio. Lui la baciò sulla guancia- mille moti in ritardo- i gesti dei ragazzi
selvaggi.
"Mi
chiamo Andrea"
"Io
Eveline"
"Lo
so..."
Scomparirono
ai lati opposti del lungo corridoio e forse si sarebbero ricordati l’uno dell’altra,
un giorno lontano di un ottobre rosso foglia.