sabato 5 ottobre 2019

I FIUMI NON SCORRONO A RITROSO







                                                                     "Ma la terra con la quale
                                  ti sei fatto di ghiaccio
                         non potrai più smettere di amarla"- Majakovskij

I vialetti del giardino erano sommersi da foglie- di che colore sono i vialetti? Rosso-rosso foglia! Di che colore è l'autunno del giardino? Buio-rosso foglia!
Passeggiava tenendo in mano una tazza da caffè americano con un goccio di coca e rhum rimasto sul fondo. Indugiava con le labbra sul bordo- come se quell'ultima goccia potesse urlarle la risposta-la risposta. In verità, pensò, lei non stava cercando nessuna risposta. Da settimane pensieri gelidi le abitavano le dita. Non era tempo per scrivere
in strada immaginava insegne di bar
piazze desolate
scarpe colorate
donna girovaga di via San Vittore con i suoi riccioli pazzi sporchi
bustine di zucchero-guinzagli- rosso stop
venditori di fiori
divorzisti con valigette di pelle
cuoricini di cioccolato-neve finta-e dentro quel giardino
 il silenzio. Macchia gelida sugli occhi del ricordo-eppure era stato tutto così vero una volta!
Colpì un mucchio di foglie e si fermò a guardare dentro la tazza; bollicine si formavano sul fondo e scoppiavano mute in superficie-moti dell'animo poetico.
Lui da qualche settimana si vestiva sempre elegantemente- ma d'un eleganza buffa come un neolaureato la prima settimana di lavoro nel caro ufficio-gabbia.
Si arrotolò le maniche della camicia. La piccola biblioteca del dormitorio era grigia e afosa. Guardò fuori dalla finestra. Era ancora ottobre. Era ancora lì- sempre mille pagine indietro rispetto agli altri. Quante foglie rosse- pensò-e lui ancora lì, mille foglie indietro rispetto a tutti gli altri- moti dell'animo poetico.
Poi la vide- oh, sapete come corrono i ragazzi selvaggi*?
Ed era tempo
autunno rosso-foglie selvagge
donna con cuoricini di cioccolato
venditori con valigette di pelle-divorzisti finti
riccioli desolati-piazze sporche
neve di zucchero
-bustine rosse- stop guinzagli- e giardini pazzi...mille moti d'animo che corrono selvaggi.
Era tempo per mordere le labbra lungo i vialetti senza colore, con il cuore rosso buio tremante foglia in gola. Ma lei aveva già conosciuto la sua terra di ghiaccio.
Infreddolita perché in maniche corte, bevette l'ultimo sorso di coca&rhum e si girò per andarsene- travolgendo lui, che con braccia incrociate sul petto le stava dietro da qualche secondo. Non si sorprese, non emise nessun suono. Lo guardò negli occhi. Avrebbe potuto allontanarsi come ogni altra volta, ma anche lui era in maniche corte. Presto avrebbe avuto una smorfia di sofferenza in viso-sempre mille giorni più tardi degli altri.
-"Ti ho sognato ieri notte. Eri entrato nella mia stanza. C'era molta confusione. Mentre la portinaia mi sgridava per l'ennesima volta, tu scivolasti dietro la porta del bagno e poi uscisti con due libri in mano. Stavi cercando di scappare ma io ti fermai. Ti trascinai per un braccio e ci sedemmo sul mio letto. Tu eri timido e io orgogliosa perché stavi per la prima volta vedendo la mia stanza. La mia stanza è il mio tempio, ne sono molto gelosa. Sul letto c'erano tanti libri e fogli e il taccuino, ma tu guardavi me e io la stanza-e la stanza noi. Ti dissi che non potevi rubarmi così i libri e tu rispondesti che ti vergognavi e io ti dissi che lo sapevo e che ti potevo aiutare. Tu dicesti  <lo so, lo so che puoi, ho letto sai le tue poesie, Marco me le ha sempre fatte leggere>. Non ho capito chi è questo Marco. Dopo io presi in mano i libri e ti dissi, <sì, ecco , La sonata a Kreutzer, ottimo, leggilo> ma tu timido dicesti che quello no, non te lo sentivi davvero di leggerlo. Mi baciasti sulla guancia e mi svegliai."
Sul viso di lui  una smorfia di sofferenza- sul viso di lei una nostalgia quieta. Ed ecco un altro sogno che aveva rubato un pezzo di realtà. Lui rubò un pezzo di realtà al sogno e le sfiorò la mano viola per il freddo.
Una sigaretta che brucia sul pavimento
la stanza dietro a una finestra chiusa
l'erba incolta di un giardino abbandonato
il caffè nero in un centro per senzatetto
i giardini di Kyoto in una cartolina
una canzone di J.Buckley sul treno in un lungo viaggio di notte.
-"Io non voglio davvero parlare di Sonata a Kreutzer. No, non m'importa davvero parlare di morte, tradimento coniugale e gelosia."
-"Coraggioso!"
-"Non credo..."
Si erano visti per la prima volta quattro anni prima. Lui aveva abbandonato la facoltà di legge per lettere. Lei teneva i libri di poesie sotto il banco nelle grandi aule universitarie. Non si erano mai scambiati una parola prima. A una festa, tempo addietro, lui si era nascosto dietro alla porta mentre lei sopra un tavolo lo imitava, scimmiottando ciò che aveva colto di lui- la folla divertita rideva - lui odiava ma non comprese mai cosa- dure lotte di selvaggi bambini. Lui non capì mai perché, lei non se ne curò.
Così scorrevano gli anni
entrambi cultori della filosofia dei vinti, ai due lati opposti della strada
Kerouac tra le mani scendendo dall'autobus, Kerouac tra le mani salendo sull'autobus
Cohen alle orecchie ai due lati opposti della metropolitana
prima e ultima fila alle letture di poesia
prima e ultima fila alle conferenze sulla cosmologia.
-"Avresti dovuto tirarmi per il braccio molto tempo prima, maledizione"- le disse. In un attimo gli fu chiaro, i fiumi non scorrono a ritroso. Rabbrividì.
-"Avresti dovuto peccare molto tempo prima."
-"Sto peccando?"
-"Nel mio sogno..ma su, niente tradimento coniugale, gelosia e morte. Non parliamone, lo hai detto tu, no?!"
-"No, parliamone invece. Cazzo, per la prima volta, parliamone! Contro chi sto peccando? Il fanciullo dalla chioma bionda che ieri sera all'Entropia ti baciava la testa?"
"Il ladro ha lasciata la Luna alla finestra. Lui è solo il ladro..."
"Allora chi è la Luna...chi?!"
Alzarono lo sguardo e qualcuno da una finestra del primo piano li stava spiando da dietro la tenda.
"Rientriamo"
Questi sono quegli incontri che hanno avuto luogo- molto tempo addietro- in altre dimensioni. Si palesano in gesti solo quando la realtà impara a imitare la perfezione dei moti dell'animo- ed è quasi sempre troppo tardi. Si sedettero al tavolo della biblioteca dove lui stava studiando.
"Un uomo una città*?"
"Non dirmi che lo stai leggendo anche tu..."
Lei sfogliò il libro aiutata dalle mani di lui.
          "Cantami una canzone che renda la morte sopportabile
            una canzone di un uomo e di una donna;
            l'enigma di un uomo e di una donna.
            Che lingua ci calmerà la sete,
            che venti ci solleveranno,
            che flutti ci porteranno oltre le sconfitte
            se non il canto, il canto immortale?"
Mentre i riccioli le cadevano sulla fronte, il vento spostava le foglie autunno rosso, il crepuscolo fischiettava lontano lontano, tra poco sarebbe scomparso in fondo al cielo. Il libro di William Carlos Williams giaceva sul suo letto mentre il vento intonava una canzone sulle labbra delle tende e batuffoli di polvere aprivano le danze in mezzo alla stanza.
L'uomo dall'uniforme verde gettava nel cestino i giornali
parole morte- da sotto i banchi delle aule universitarie
i riccioli della donna si addormentavano folli di dolore all'incrocio
cravatte colorate in colli da suicidio
bancone di pasticceria lucidato a puntino
orfanotrofi all'ora di cena
una chitarra scordata in mano a un girovago
 madri lucidate a puntino fuori dalle piscine ad attendere bambini con giubbotti firmati
l'ultimo pensiero di un filosofo arreso che brucia dentro la stufa di un appartamento spoglio.
Lui le rubò il libro di mano e si alzò volendo scappare. Lei lo tirò per un braccio. Lui la baciò sulla guancia- mille moti in ritardo- i gesti dei ragazzi selvaggi.
"Mi chiamo Andrea"
"Io Eveline"
"Lo so..."
Scomparirono ai lati opposti del lungo corridoio e forse si sarebbero ricordati l’uno dell’altra, un giorno lontano di un ottobre rosso foglia.