giovedì 29 dicembre 2016

LETTERA DI FINE ANNO

Dovrei scriverti una lettera, Charlie.
La fine dell’anno è vicina
dovrei scrivere
ma quest’anno ha ucciso tutti i suoi ostaggi; 
e gli elenchi delle cose da fare
le orme delle vie errate
il prezzario delle cose che contano
tutto è svanito, 
come fosse stato scritto sulla sabbia.
Ma non siamo in Abissinia qui,
se scompari, il mistero svanisce con te.
Dovrei raccontarti, Charlie, 
ma da queste parti Auld Lang Syne
non è un inno da ripetere nel giorno di festa
è solo una barriera che ostruisce 
la gola dei nostalgici.
Il giorno di festa,
quello che conosci, che teneramente
per lunghe notti hai cercato
di far entrare a forza dentro a una cornice.
Vorrei fermarla, dicevi, questa gioia
che sei capace di provare solo tu
e i bambini di Dickens.
Vorrei chiuderla in una teca da custodire nei Musei
come i tesori delle piramidi.
Quest’anno, vorrei scriverti,
ci siamo davvero trasformati in piramidi
ma già saccheggiate
e non c’è spazio in una piramide
per il dialogo sussurrato
le stramberie goffe
i dolciumi nascosti nelle tasche
la gioia dell’attesa.
Non si attende più niente qui.
Di certo si vive, si corre affannati
a volte ci si riposa, troppo
si aprono e si chiudono
finestre
messaggi virtuali
amicizie
ire.
Ma no, non si attende.

Ti dovrei scrivere Charlie
che le insegne colorate
rimangono un'attrazione per i nottambuli alle finestre
che il gin è sempre una buona abitudine
e che la poesia,
quella alla fine trova sempre la strada del ritorno.
Ma questo credo tu lo sappia già
e dato che è l’unica cosa che conta
questa lettera è inutile scriverla.

domenica 20 novembre 2016

BELLISSIMI PERDENTI*

A Leonard Cohen


Sono pronto, mio signore-
fu questo il tuo ultimo verso
dalla perfezione rotonda.
Forse ti togliesti per un attimo il cappello
guardandoti indietro
e i mercanti di bugie
i paradossi lineari
i muscoli della debolezza
si contrassero, si nascosero tremanti
come sempre
come mai.

Ti immagino rimetterti il cappello
mentre il coro dalla Torre-
Hineni Hineni- cantava.

Sono pronto, mio signore-
dicesti senza più girarti
con lo sguardo immerso nella palude del silenzio
ma noi non eravamo pronti.
noi non siamo pronti,
Leonard,
ad amare tutte le Marianne del mondo
a seguire tutte le Marianne del mondo
a perdonare tutte le Marianne del mondo.
Ci lasciasti
né pescatori, né buddha
rimaniamo a masticare la tua voce dorata
la bellezza del distacco.
Ci lasciasti con occhi adoranti
i nostri occhi come preghiere
non tornarono più a noi stessi
e sono giorni cattivi
di errori
debolezza dei gesti
di giovinezza disorientata
di silenzi che abbiamo tradito
di fallimenti con cui non abbiamo mai
                       imparato a fare l’amore

Solo la poesia è restata
e nella nebbia di novembre allunga i suoi rami
come mani lascive
come bellissimi peccati originali
accarezzando le rughe nasciture
i fallimenti stratificati
i trucchi mai usati
accarezza le viscere e le mani titubanti
Solo la poesia è rimasta, senza te.
Forse è questo che hai voluto dirci,
Hineni Hineni
Noi, tuoi nudi perdenti bellissimi
con occhi liquefatti in inutili preghiere
siamo rimasti qui

e solo la poesia ci seguirà.




* da Beautiful Losers, titolo di un romanzo di L, Cohen

sabato 12 novembre 2016

CRISI DI NERVI

                                     " Involontariamente verso queste tristi rive, mi attira una forza ignota,
cantava lo studente di medicina"- Anton Cechov

Era il 31 dicembre e camminavo in centro a Reggio Emilia, sotto un sole quanto mai inappropriato. Giò e Alice discorrevano di cose, sì cose e nient'altro. Io seguivo la linea dei marciapiedi e di tanto in tanto canticchiavo qualche verso- tutta la situazione mi rimandava a quel racconto di Anton Cechov, "Crisi di nervi[1]".
Mi chiamo Charlie e sono uno studente di legge. Superflua informazione. Riconosco la mia goffaggine così mi ritiro lungo la linea del marciapiede a mettere alla prova la mia capacità di equilibrio.
Era una giornata di sole e mi sentivo come Vasil'ev che "commosso guardava gli amici, li ammirava e li invidiava. Come tutto in quegli uomini, seri forti e allegri era equilibrato. Come tutto nelle loro menti era definito e liscio!"
Mentre io sono Charlie, giovane invecchiato studente di legge ed ho una voglia incontenibile di confessarvi che scrivo anche se questo mi riporta ai giorni precedenti a quel 31 dicembre- tutto mi turba oltre mondo- quindi taccio.
Giò ed Alice si scambiarono occhiate piene di significato quando ad un tratto mi staccai da loro andandomi a sedere su una panchina in piazza Fontanesi.
"Sei sicuro di stare bene Charlie?"
"Certo"- in mente mi venne l'immagine di quel cucciolo di labrador che tengo incorniciata sulla scrivania- mi toccai la faccia, era ancora al suo posto ma non la sentivo.
"Vuoi che ti lasciamo da solo?"
"Vuoi che resti con te? Vuoi?"- disse Alice col suo vitale ma irritante senso dell'altruismo. Umanità! Umanità! Io in quel racconto di Cechov non sarei stato di certo l'uomo con il talento umanitario.
"No, andate. Ci rivediamo stasera"
Se ne andarono bisbigliando, terrore nei loro occhi, indifferenza nei miei, perché quella crisi di nervi stava per svanire- lo sentivo che era ora- e mi sarei sentito più solo di prima, più stabile di prima, più forte di prima.
Oh orrore! Sentii il vento fischiare lungo i fiumi-dolorosi canti d'addio- e guardai in alto; vecchi rami di alberi come sporchi capelli di streghe venivano piano piano inghiottiti dalla nebbia. Avrei ancora dovuto sopportare l'ennesimo crepuscolo inventando parole immobili seduto su una fredda panchina?
                      
"Nella propria selvaggia natura ci si ricrea nel miglior modo della propria non natura, della propria spiritualità"[2]

Oh, al diavolo quel senza-dio di Nietzsche. Elessi mio Signore quel tizio con i baffi e la pelliccia che passava in bici e assomigliava ad E.A Poe e seguitai speranzoso ad ascoltare musica natalizia in chiave  jazz- una prostituta vestita da gran dama.
Tutta questa storia della crisi iniziò quel giorno in cui incontrai Jolene...oh Jolene e la sua voce così profonda e rassicurante (ho bisogno di un altro sorso di whisky) Jolene e la sua giovinezza -la sua incoscienza confortante.
La incontrai in una libreria di libri usati. Ma finì. Certo che finì.
Quel giorno mi ritrovai in quella libreria per trovare materiale per un articolo  che sarebbe dovuto uscire sul giornale studentesco. Gli ultimi raggi del sole, quelli più intensi, le coprivano il volto corrucciato mentre cercava tra gli scaffali.
Annusavo avidamente il profumi di libri vecchi e mi chiedevo quando chiudeva quel posto- dimenticandomi di quei luoghi senza aperture, né chiusure, crudeli come l'immaginazione e perfetti come il volto di d-o, luoghi che esistono ovunque ma non sono da nessuna parte- gli Attimi, luoghi della mente dove noi ci buttiamo a capofitto dimenticandoci di lasciare fuori i nostri ingombranti sentimentalismi- così vennero profanati i mari del nord.
Mi allungò un volume di Ginsberg dentro il quale aveva messo un fogliettino - lessi parole che credevo fossero "delle menti distrutte dalla pazzia"- e m'innamorai di lei, del suo corpo che immaginavo nelle lunghe e desolate sere trascorse in qualche squallida birreria, attendendo di rivederla ancora, attendendo una sua parola.
E un giorno Jolene tornò, riapparve con labbra terrificanti e con dita che suonarono i genitali della mia mente impazzita e vidi fanciulle gettarsi dai ponti, d'oro vestite in quella notte in cui lei continuava a dirmi "ti Amo" e non sapeva nulla di me, ma potevo io mandarla via? Era tutto ciò che avevo segretamente sognato.
Mi legò a se senza fare un gesto- così nella speranza di affondare il cuore unghioso nella sua pelle, la portavo ovunque con me. E  lei voleva la "devastazione".
Oh Jolene, cosa avrei dato per stare seduto in un angolo osservandoti scrivere con quelle tue mani come un grilli ubriachi sulle spighe d'oro nelle notti d'agosto.
Ma lei non comprese mai quel mio bisogno di dondolare per strade al ritmo di jazz. Intere notti tremavo più per il suo disprezzo che per gli incubi. Ma io ero un bruto, un "uomo ridicolo[3]” che credeva nella comunione delle menti e nella fiducia. Al diavolo! Volevo anch'io la devastazione, ma la poesia? Può un uomo lottare contro la propria natura?
La portai ovunque, ovunque potessi esserci anch'io, dietro le quinte dei miei spettacoli di teatro ma lei si vergognava della mia inerzia, la portavo nelle aule universitarie ma lei si vergognava del mio scetticismo, la portavo nelle feste private ma lei si vergognava della mia goffaggine- così mi rifugiavo in bagno con una bottiglia di vino dimenticandola là fuori.
Volevo scrivere per lei, ma a lei questo non bastava. Un meccanismo perverso sembrò perfezionarsi di giorno in giorno finché gli Zoa[4] vinsero sulla mia volontà e diventai uno fuori dall'Eterno, uno indifferente.
Oh Jolene, il mondo condannò me e te ed ogni nostra promessa alla ridicolaggine.
E ora sei spettro: elementi dell'ideale che hanno cessato di essere in comunione con il Divino.(definizione inaffidabile)
Quante notti ho passato da ubriaco a parlare con i personaggi dei quadri di Hopper, li ho odiati sai, li aggredivo ogni volta che assaltava i miei occhi quella loro indifferenza alla condizione di solitudine universale. Col tempo arrivarono Lucia e Paola e Elisabetta, trascinandomi nelle loro vite prive di intensità, prive di complicazioni. M'illusi di poterti dimenticare, mi convinsi di sentirmi bene nell'oceano dell'anonimato. Mi convinsi...fino a quando compresi che non ero fatto per l'oceano- la grandezza mi ha sempre spaventato.
Tutto ciò che avevo era una certezza profonda, come profonda era l'angoscia che generava: le nostre notti passate a sussurrarci e a scrivere sciocchezze più sante di tutti i santi libri del mondo, tutte quelle notti...Tuttora pensandoci mi sento come quel pazzo che cammina per la strada e grida di aver visto il paradiso, un tizio lo ferma e gli dice che si sbaglia, che non esiste il paradiso ma il pazzo continua ad affermare che esiste, allora gli si chiede di provarlo così lui inizia un pianto angoscioso e disperato perché non può provarlo, ma lui sa che esiste, lui lo sa!
Oh Jolene, io avrei voluto toccarti in eterno ma come può un uomo salvarsi dalla vita se non vivendola? Ed ecco che scioccamente parlo a te come se tu fossi presente ancora, come se tu fossi il miracolo della mia mente, tutta creata da me per dare vita a quel regno dei poeti tanto bramato nelle fantasie adolescenziali.
Merda a me! Già, rido ed ascolto Miles Davis e nemmeno merito l'armonia disordinata del jazz, io che tra i minacciosi rami degli alberi vedo il suo volto- Jolene imbronciata nemmeno mi guarda, nemmeno si cura di me, mi ama tacendo nella sua benedetta testardaggine e scrive parole che "pensavo potesse scrivere solo dio"- così mi disse un giorno quando le feci leggere uno dei miei racconti e dopo la lascia andare, ma non le dissi come piansi.
Molto spesso ci accusavamo a vicenda di non amarci, non ci furono lotte più inutili nella storia dell'umanità. Tutto quello mi rimanda ad un passo di Kerouac che dice: "Lo Zen è quando la luna mi segue verso nord e ti segue verso sud. La luna vera chi sta seguendo?" L'amore era vera ovunque fuori dai nostri dubbi.
Mi chiamo Charlie e studio legge. Certe volte ho bisogno di fissarmi allo specchio e dirmelo. Ho vissuto tanto a lungo fuori dalla mia vita che ora faccio fatica a credere di averne una. Io ho decine di taccuini e quadernetti  pieni di scarabocchi che disconosco, e di notte, a volte, sogno il pubblico che assiste ai miei spettacoli di teatro colpirmi con frutta andata a male, così io prendo due prugne e corro a costruire Frosty, l'uomo di neve, poi mi metto seduto vicino a lui e piango perché pare cieco con quelle due prugne al posto degli occhi. Ma né le mie fantasie, né la mia coscienza riflettono la verità delle cose- mi chiedo cosa può essere in grado di rifletterla- così mi viene in mente Jolene che mi trascina su un letto in una camera spoglia e grigia in un pomeriggio qualsiasi...Stop!
Sono Charlie e studio legge- tutto quello che avrei voluto fare non è perseguibile se non fuori dal tempo. Alla finestra del cranio si affacciano clown con sorrisi mostruosi. Ad ogni incubo volevo chiamare lei, raccontarle tutta la quotidianità per farle capire che esistevo, che la pioggia mi bagnava come tutti e che no, non mi bastavo da solo. Ma se certe notti mi trascinavo in degradanti locali o mi isolavo nella stanza a bere vino scadente leggendo tutta la notte, era perché il  mio animo vigliacco temeva la spontaneità, quel suo odioso essere Jolene all'infinito. Forse la colpa era tutta del mio egocentrismo?
Sono Charlie e  sono uno studente di legge...hum, no, ero debole e avrei continuato ad esserlo finché non avessi trovato un posto per me- sospiro- un posto che però non sto cercando, in verità non voglio trovarlo. Ma c'era una mente nella quale mi sentivo vivo, Jolene forse non lo sapeva, così certe notti mi mandava via. Chissà se lo avrebbe fatto se avesse saputo che in quei momenti mi sentivo il più sfortunato dei barboni, un vagabondo che si trascina nell'universo-bolla con il peso di troppe parole non esplose. Ma certe volte ero io a lasciarla fuori con le sue innocenti promesse sulle labbra, dispettoso come quel bambino che nella sala lettura della biblioteca un giorno interrompeva la narratrice a ogni frase, lamentandosi e sbuffando. Stizzito incrociava le braccia, incredulo protestava, interrompeva, rovinava i finali.
"Vai al diavolo Charlie!" ricordo di averlo sentito tante volte ed in quel vai al diavolo trovavo tutta la saggezza del mio zarathustra. Lei era la mia morale, la mia devastazione, la mia delicatezza, il mio Mississippi arrabbiato, il mio jazz indifferente, il mio vino rosso.
Jolene studiava con il fervore delle persone equilibrate, io con l'ansia dei pessimisti- tutta la mia razionalità e la mia conoscenza sprofondava nell'impeto del momento- ero il mio peggiore incubo e negli ultimi tempi pensai fosse tutta colpa sua! Lei m'insegnò ad abbandonare l'autocontrollo così permettevo al mio animo ogni inclinazione a grottesche esagerazioni. Affermavo il contrario del contrario senza mai rinnegare nulla, correvo avanti avanti avanti- per lungo tempo lei corse con me, finché un giorno smise di inseguirmi.
Sono Charlie e sono uno studente di legge. Forse il riassunto di questo sogno sarà l’arringa più sincera che mai riuscirò a fare in vita.









[1] romanzo di Anton Cechov
[2] Da Crepuscolo degli Idoli di Nitzsche
[3] Dal racconto Sogno di un uomo ridicolo di Dostoevskij
[4] Il mito ei quattro Zoa come inteso da Blake nelle Visioni . La caduta dell’uomo eterno è dovuta alla ribellione dei quattro Zoa che sono: l’intelletto (urizen), l’emozione (luvah), la sensazione (tharmas) l’immaginazione (urthona).

martedì 1 novembre 2016

La metafisica dell'Appartenenza

Quando pensavo a Charlie pensavo all'Indicibile. Pensavo a quell'esempio preferito della prof. di Sociologia al liceo- il rumore di un albero che cade in un bosco lontano.
Quale rumore fatato, il suo viso contorcersi in un sorriso! Era un po' come le albe di Parigi; quanto suona strano, le albe di Parigi! Nell'immaginario collettivo Parigi è fatta di luci, strade, bancarelle, musei, fiume, quartieri, ma mai nessuno pensa all'alba di Parigi. Io dicevo, mi pare di vedere d-o!
Erano limpide, una di quelle cose incontaminate che mai pensavi di associare alla città. Le godevo ogni volta che tornavo a casa con la prima metro e credetemi, era come sentire il bisbiglio secolare dei segreti più intimi della città infrangersi nel petto, era come sfogliare i diari di tutti i poeti del passato-così provavo un profondo rammarico, per quando ne sarei stata lontana e avrei lottato per trovare qualche parola che almeno ne punteggiasse una scarna immagine nell'aria.

Così, una volta arrivata nel monolocale dove abitavo, mettevo addosso quella sgualcita maglietta viola che Charlie aveva lasciato da me, e provavo lo stesso rammarico. Specchiandomi scorgevo tutta buffa la Metafisica dell'Appartenenza. E sapevo che come delle albe di Parigi, non avrei mai potuto farne parola!
Allora  m'infilavo nel letto.
Provare a dimenticare- come se non fosse un urlo, lo scontro epico tra la coscienza e l'immagine mancante, un urlo che squarcia l'elettrico labirinto del giorno moderno.

E poi mi svegliavo di nuovo solo quando le nuvole abbandonavano la trasparenza- un Noi fuori dal cielo- e si gonfiavano di blu, rossi i contorni.
Davanti allo specchio la stessa sagoma della Metafisica dell'Appartenenza, solo un po' più spettinata, solo un po' più rauca.
Indossavo gli abiti della cerimonia notturna- come in un eterno ritorno-in attesa del satori della prossima alba- volto di Charlie- condanna e rigenerazione.

Tutte le notti iniziavano più o meno così: "E lui, cosa vede lui nello specchio"?

sabato 1 ottobre 2016

CREDO DI ESSERE IN ATTESA

Credo di essere in attesa del tempo in cui tornerò
a ritrovare pieni di senso gli stupidi refrain romantici
le reazioni insensate, le bugie sentimentali
le realtà ingombranti, i capricci notturni.
Credo di essere in attesa del tempo in cui tornerò
a pretendere, come un bambino,
di meritare tutto l'amore offertomi
che non esistano orari se non per le cose noiose
che la ragione venga prescritta con parsimonia.

DEL NOSTRO AMORE

Del nostro amore rimangono i pigri pomeriggi
di una primavera distratta
mentre m'incanto con dieci pensieri incompleti
un fiore secco nella tazza del caffè americano
e la tua immagine, i tuoi lineamenti scuri ed orgogliosi
attaccati dai raggi del sole del sud
la fronte corrucciata, la solitudine inquieta
l'ironia, quella goffa
ed un taccuino senza segreti sul terrazzo
che nessuno può sfiorare, se non l'ombra
del tuo fedele cane dal portamento misterioso.
Del nostro amore rimarrà tutto il nostro amore
banalmente puro
quello pieno di crepe ed errori infantili
ma di sogni realizzati e bellezza strabordante
dalle mani, nei percorsi futuri
nell'anima coraggiosa di sentimentalismi
nelle rotondità nasciture delle menti spigolose
nella dolcezza dello scorrere lento del ricordo
del nostro amore, rimarrà tutto il nostro amore.

ERAVAMO COSI'

Eravamo maltrattati da un'interiorità prolissa
sempre dibattuti tra l'immobilità dei pensieri eterni
e il desiderio di cibo scadente
caramelle gommose, sensibilità sprecata
limiti superati e vestiti comprati a casaccio.
Le foto in bianco e nero, l'assenza di praticità
la nostalgia per il cinema di pomeriggio
e la musica, la musica, la musica
i silenzi prolungati
Eravamo così, incapaci di discorsi pourparler
diffidenti nei confronti di tutto tranne l'assurdo
violenti nella sete, nella cruda verità.


venerdì 30 settembre 2016

FESTIVAL ARTS'CONNECTION 2016 VENEZIA- READING

Nell'ambito del Festival Arts'connection 2016 a Venezia, sabato 24 settembre si sono tenuti due reading di poesia nella cornice meravigliosa del giardino del Museo Ca' Rezzonico.







giovedì 8 settembre 2016

NON PARLARE DI ME CON LORO

Non parlare di me con loro
ama le imperfezioni che noi abbiamo distrutto
ridi davanti allo specchio
non prendere sul serio i tramonti
le braccia non sono quadri espressionisti
il loro linguaggio non ha regole grammaticali
raccogli l'acqua piovana
tratteggia il mio profilo sul tetto
laddove trami contro noi umani
laddove ti prendi cura dell'anima del mondo
trovami ma tienimi per te
per i futuri lunghi viaggi che ci divideranno
sii sciocco almeno una volta al giorno
mandami fotografie immaginarie
quando la musica smette di sorprenderti
ricorda le tre rughe tra le mie sopracciglia
ti guardo
tratteggio il tuo profilo come un esercizio zen
e lo tengo per me.

giovedì 11 agosto 2016

PENSIERI IN MORSI 8

Noi, eravamo impregnati di una volontà innata di agire, una sorta di "dove andiamo, non lo so ma dobbiamo andare", una kerouachite acuta. Agivamo secondo coscienza, senza che un'esigenza impellente si presentasse e ci suggerisce che era necessario. Il valore dell'azione stava proprio nella non-indispensabilità dell'azione. 
Oggi le persone attendono le esigenze impellenti, si attendono le scadenze e gli obblighi morali, per spingere il naso in strada. Una strada piena di nasi. 
E' sparito il valore dell'azione e si pretende il riconoscimento dell'azione valorosa.

sabato 6 agosto 2016

SMETTERO' DI SCRIVERE POESIE PER TE


Smetterò di scrivere poesie per te
perché la poesia è un risveglio a mezzogiorno
mentre tutti gli altri si sono abbuffati di mattini
che non ti apparterranno mai.
Perché ci sono passati perfetti che non ispirano poesie perfette
e poesie perfette che parlano di imperfezioni quotidiane
Perché la poesia è inutile
come un sogno che non riesci a ricordare
come una corsia di emergenza in una città fantasma.
Smetterò di scrivere poesie per te
perché mi hai insegnato l’arte di tacere
come un vecchio abate di una civiltà chiacchierona*
Mi hai insegnato come si può inabissare l’anima
come si corrompono i rimbaud
come si tradiscono i rimbaud
come si rinnegano i rimbaud
Mi hai insegnato come si può rimanere fedeli
a se stessi
senza scriverlo per forza in versi
Come si sopravvivere ad una notte insonne
senza che nessuno si accorga della tua veglia
come riderci su e uscirne con un po’ meno paure
ed un po’ più di capelli bianchi
Come si reinventa la felicità e ci si inganna ironicamente
Come diventano inutili i giuramenti
E per questo ed altro
Giuro che non scriverò più poesie per te.

venerdì 5 agosto 2016

PENSIERI IN MORSI

Quando si ha la consapevolezza di sé grazie all'altro, ecco l'amore. Una resa carica di dedizione infantile ma coraggiosa, una follia consapevole, una buddhità passionale. L'ego svanisce e tutta l'anima si espande per potersi ritrovare fuori da sé, perché il dentro è già stato invaso. Tutto gli altri sentimenti diversi da questo sono un prolungamento dell'Io, e sono una perdita di tempo, dolce, divertente, piacevole, ma pur sempre una perdita di tempo.

giovedì 28 luglio 2016

PENSIERI IN MORSI 2

Era il periodo più bello dell'anno, la musica mi riporta in mente addirittura il profumo. Le panchine bagnaticce del Parco Sempione e quelli fissati con l'attività fisica. Tornavamo lasciandoci alle spalle il tedioso periodo delle feste, gli sforzi non ricompensati delle ricerche di cartoline vintage per amici ingrati, la non-passione per il cibo, ritornavamo alla metropoli pieni di entusiasmo, al ritmo di qualche pezzo strumentale di qualche yankee che imitava lo spessore di qualche irlandese sentimentale del dopo guerra, e correvamo pazzi di vita, sempre alla ricerca, dentro la metropolitana, dentro gli occhi, dentro le pagine, sempre senza fiato. Ad ogni gennaio sempre la stessa storia, la sensazione che un mondo nuovo si sarebbe di lì a breve palesato.

martedì 19 luglio 2016

L'UNICA COSA NON TRASCURABILE

E' stato un anno buono,
balbuziente, un poco nevrotico, 
ma buono
nel dilungarsi degli errori
nella masticazione prolungata delle certezze
nei lamenti soffocati
come fiori sbocciati già stanchi.
Non rimarrà quasi nulla
ma quel poco sarà, in fondo,
buono
come qualcosa che nulla aggiunge e nulla toglie
un nulla delicato 
come un soffio
Rimarrà qualcosa di così delicato 
da essere destinato a un pianto sommesso
in qualche futura primavera di ricordi
a qualche sorriso sbadato davanti ad una vetrina
Rimarrà, se non altro,
la certezza di essere sopravvissuti.
E' stato un anno buono
di quelli che si dimenticheranno in fretta
di quelli che nemmeno i "se"
e la rabbia fragorosa dei giorni vivaci
un anno buono; come altre, infinite cose
trascurabili.
L'unica cosa non trascurabile sarà
il tempo
perso a celare le altre prospettive.

venerdì 8 luglio 2016

LA ROUTINE





E' la routine, caro, è la routine che mi logora:
la barista piccina biondina la mattina presto
mi tortura con la sua vocina dolce 
e le domande sugli uomini e gli abbonamenti in palestra
non capisco cosa le faccia credere che capisco qualcosa dei primi 
e dei secondi.
Al bar tabacchi i vecchietti pare complottino
contro i medici di famiglia,
non provo più entusiasmo per il genere umano
eppure la solitudine non so soffocarla altrimenti
se non vendendomi alle loro prolisse sciocchezze
e ci sono giorni in cui quelle sciocchezze 
mi paiono addirittura profondamente ispiranti-
sono giorni cattivi-
Non faccio niente che mi piaccia da mesi
perché quando accade trovo messaggi di sconosciuti
che vogliono confrontarsi con me sul senso della vita
e le sensazioni su qualcosa di poetico
-la cosa mi irrita- non so se 
per non deludere loro o me stessa
evito di rispondere.
Evito gli inizi perché non ho mai saputo recitare i finali
ecco perché questa poesia è andata per le lunghe,
adieu mio caro, adieu.

lunedì 13 giugno 2016

PENSIERI IN MORSI 7

Ho messo insieme oggetti a forma di bastoncino. Li ho messi in fila, poi li ho mischiati ed ho ricominciato, con un ordine diverso. Ma non funziona. Perché non era l'ordine a placare il panico, eri tu che davi senso all'ordine- nella testa- e ai bastoncini.
Ho respirato piano, e ho scritto le liste delle cose da fare, poi ho scritto le liste e ho respirato profondamente con le liste che se ne stavano a fissarmi, senza che nessuno facesse il primo passo. No, non ha funzionato, perché eri tu che davi senso al respiro e alle azioni.
Il rimpianto più grande è non aver mai letto poesie per te, con te; che mi hai insegnato negli anni, con una pazienza da squilibrato felice, come affrontare, tutto. Ma c'è una cosa che non mi hai mai insegnato, come affrontare tutto senza di te.

martedì 7 giugno 2016

JAZZ DOMENICALE

Sentimenti in compartimenti stagni.
Singhiozzo e pasto solitario.
Mi hai insegnato tu 
a dimenticare
-ricordi
il jazz domenicale?
L'asfissiante risveglio
in una realtà sottovuoto.

lunedì 2 maggio 2016

PENSIERI IN MORSI 5

Se non volete farvi arricciare i nervi, mangiatevi la vostra chiaroveggenza a cena e beveteci sopra una bottiglia intera di vino. Il mondo appartiene ai furbetti. La scemenza è la femmina che li fa proliferare. La volgarità è il loro costume di scena, e la meschinità il loro spettacolo. Lasciate alla vostra anima la dignità di non dover lottare contro tali bestie. Fateli credere che hanno vinto..se potete, siate Buddha, fateli vincere per davvero.

mercoledì 20 aprile 2016

lunedì 21 marzo 2016

PENSIERI IN MORSI 4

Eccolo, questo stupido vento primaverile e tu chiuso dentro quattro mura, tutta la notte, il giorno e quasi tutta la notte. I peli pubici delle signorine con i capelli rossi, sono rossi. Non so come finimmo a parlare di questo a notte fonda fuori da un locale. In primavera non riesco a chiudere la finestra, mai, giorno e notte l'anta stride , emanando un rumore quasi annoiato; oggi mi svegliai proprio così , mentre l'eco del sogno del mattino mi seguiva in bagno e poi si arrampicava faticosamente dai lacci delle scarpe alle ginocchia per fermarsi sullo stomaco. Sognai di camminare di fianco ad un cavallo nel deserto. Nell'atrio di una università una signora di una certa età urlava: maestro Freud, si ricorda di me, si ricorda di me, maestro Freud...Sciocchezze, ma "what's amazing about really deep thoughts"?!

mercoledì 2 marzo 2016

CI SIAMO ABBANDONATI COSI'

Scendi in strada a mezzanotte e l'asfalto è bagnato
ti chiedi come, quando è scesa la pioggia
senza che te ne accorgessi.
Ti fermi nel parco più vicino e osservi con occhi da neonato
stupido
ti senti derubato di qualcosa che non è nemmeno mai stato tuo.
Così ci siamo abbandonati
come neonati increduli dopo la prima pioggia
puri nell'animo e un poco sciocchi
ci siamo persi così
come un musicista perde la melodia perfetta
perché il mondo ha voci più loquaci e impellenti
perché la mente gioca brutti scherzi
ed in fondo i miracoli sono solo trame da scritturare.
Ci siamo persi senza mai provare
coscienti che si prova solo una giacca e non l'anima
quella veste e se non veste
la solitudine penetra nelle ossa come un cancro;
e quanto si può arrivare a credere
nella religione delle solitudini per destino!
Ci siamo persi senza dirci arrivederci
perché non si rivede la luce, una volta conosciuta la luminosità
ci siamo persi senza addii
divisioni, condivisioni, spartizione di colpe e date
perché era uno scorrere dentro l'altro
il nostro tempo insieme
perché era la prima fusione di intenti e la prima glaciazione di nervi
il nostro trovarci.
Ci siamo lasciati senza addii, buoni propositi e progetti
impregnati di estremi come eravamo
l'estremo addio fu conoscerci
camminare oltre
mai troppo

e tacere.

martedì 23 febbraio 2016

PENSIERI IN MORSI 6

In un angolo della piazza suonavano del klezmer primordiale, e volatili da cemento sbattevano le ali di pezza in modo confuso. Certo che l'uomo non imparerà mai a ricostruire con logica il copione naturale dell'esistenza, ma la musica, quella musica... Un bambino, il più rumoroso di tutti, continuava a gridare "applausi per tutti" "attenti, attenti" , come un veggente voleva mettere in guardia gli artisti dal loro ego e gli spettatori dai loro sogni. Mi ritornò in mente una poesia di Leonard Cohen che gli uomini mi pregavano di recitare a memoria, ancora ed ancora. E pensai, se ci fosse stato quel bimbo ci avrebbe salvati; ci vuole sempre una piccola peste che grida "applausi per tutti" "attenti, attenti!!!"

domenica 14 febbraio 2016

LA RICERCA DEL TEMPO MAI PERDUTO

Tu sei la ricerca del tempo mai perduto,
la prima sigaretta della giornata
-quella dei pensieri dolcemente incompleti.
Tu sei la purezza, di ogni gesto
loquace e silente
sei la matrice e il significato
di ogni vita trascorsa
il ritmo, la scoperta, il fine.
Tu sei il maestro delle parole dette
il fedele ateo
di ogni promessa
ne hai fatta una poesia, scolpita nelle viscere
come le sbronze a stomaco vuoto.
Sei il discepolo traditore
delle debolezze umane,
all'angolo dell'occhio
ti luccica da sempre l'eternità ritrovata.

domenica 17 gennaio 2016

PENSIERI IN MORSI 3

Le vittorie sono sopravvalutate, tutto è un po' sopravvalutato, il fastidio, l'entusiasmo, il timore, il pudore, l'attesa. I miscredenti girano gli occhi in fila al bar la domenica mattina. I cani la fila non la rispettano. Le signorine impellicciate fuori stagione la fila la comprano. Il refrain arabeggiante del vecchietto dalla voce d'oro ti fa rimembrare i ritmi naturali della vita. Per fortuna esistono ancora i giorni che tradiscono la primavera. Buddha benedica le giornate pigre di pioggia!

lunedì 11 gennaio 2016

PENSIERI IN MORSI 9

Mi commuove la chiarezza del non detto, il ちょっと giapponese; quel masticare interiormente i sensi, i desideri, i segni e gli umori altrui per capire se coincidono con i nostri. Vorrei imparare a non lottare più quando ho ragione ma scorrere quando ho torto, non trattenere ciò che non voglio, ma lasciarmi andare via. Non avere fretta. Non donarmi troppo poco. Non far valere le mie ragioni con chi non ascolta. Imparare dall'egoismo altrui, imparare ad abbandonarlo quando inizia a contagiarti. Vorrei coltivare la capacità di non trattenere ma farmi trattenere, non far vivere ma farmi vivere. Accogliere un'anima piena di passione invece di ostinarsi a plasmarne una indifferente. E vorrei fare tutto questo nel silenzio del ちょっと (ciotto) nella rotondità di questa parola sconfinata, perché solo nella chiarezza del non detto si incontrerà un giorno ciò che non si può mai perdere.