venerdì 2 dicembre 2011
Storia da sabato sera
Quando il sabato sera inizi a sentirti
come l'ultima pallina blu dimenticata
su un albero di natale nascosto in cantina,
quando la tua lampada da scrivania
sembra la figlia comatosa di una città
che vive di battiti furiosi e lucenti,
fai un giro nei giardini interni dei palazzi;
mentre un vecchietto parcheggia con cura
la sua volkswagen del '87
le cianfrusaglie da giardino
ti faranno dubitare dello scorrere del tempo
alza lo sguardo
e li vedrai
gli eroi della non solitudine
il sé fuori da sé che rimpiangi
è giocare a nascondino con sé stessi!
Vuoto nel vuoto:
La farmacista fuma sul balcone
La casalinga legge Hemingway
Lo stagista dello studio legale
si sfoga sul gatto
Giuliana canta e si cuce un vestito
I manager fanno gli sposati, molto sposati*
La ballerina del terzo piano
ha lucidato il bagno per la terza volta
Lo studente non risponde al telofono
I coniugi Ming ed i coniugi Chan
giocano a carte nel monolocale
dei coniugi Tzao Pei
I bambini inventano sortilegi
per far scomparire le agende dei genitori.
Sono tutti lì, e se ti mettessi ad urlare
muga-no-taiga^
fuori dalle loro finestre
spegnerebbero le luci
e farebbero una segnalazione anonima
al 112.
Fantasmi del loro Io
Sono tutti lì, tranne Gigi,
quello "molto sfigato e solo"
dicono, la sua luce è spenta.
Gigi se ne sta al parco
con una lettera d'amore
La signora del circolo
con spille scintillanti
sempre sul bavero della giacca
ha proprio una calligrafia da bambina!
"Anni fa ti avevo messo un biglietto
dentro le scarpe che rompevo di proposito
per farle riparare nella tua bottega
'signorina, le è caduta questa', dicesti
restituendomi la lettera senza leggerla.
Te ne stai su quella panchina
a pensare chissà cosa.
Oh, come ti guardo!
Ti posso fare compagnia domani?"
Gigi s'incammina verso casa, quieto
la lettera nella tasca della camicia
e un sorriso impercettibile sul volto
lo incroci mentre finisci il tuo
tour dei giardini interni
e pensi:
è quello il volto della beatitudine!
*da un quadro di Jack Vettriano "A very married couple"
^detto giapponese "Il grande Sé non egoistico"
venerdì 25 novembre 2011
Ma come si amano gli innamorati
Ma come si amano gli innamorati
con quegli sguardi lunghi lunghi
come un bebop senza pausa
e senza respiro si amano
silenti come foreste innevate
hanno testimoni solo la Luna
e gli animali che si ribellano al letargo
così anche loro sviano gli ostacoli;
come il vento sul lungosenna
a lottar con capigliature laccate
ed impermeabili disattenzioni
E si amano tutta la notte,
ti hanno detto, gli amanti si amano
fino al mattino e il mattino non arriva mai
I tuoi mattini invece arrivano
puntuali mentre il telefono tace
il traffico riparte- come in un mondo lontano
un fuori onda del tuo spettacolo di desolazione
E t'accorgi
d'aver dormito di nuovo su un divano
giovedì 27 ottobre 2011
Quando l'orizzonte non esiste
Non ci sono ritorni nelle notti incandescenti
fuori e dentro le saracinesche
addobbate da gentili allucinazioni.
Gli orizzonti non sono spesse linee rossastre
come nei disegni dei bambini,
ma luoghi di desideri
per cui bruciano le tempie dei folli
in fuga da Hozomeen*
Una casa abbandonata,
nel bel mezzo del deserto cuore della notte
avanzo di chissà quale esistenza
consumata, dietro la montagna
un morso di fuoco
avanzo di chissà quale perfezione solitaria
l'aria bagnata di un lamentoso lirismo
avanzo di chissà quale carovana
di zingari kerouachiani.
Spero che esista il Paradiso degli Avanzi!
Chi ha battezzato i vostri occhi
nel nome della tristezza?
Sfuggite ai ricatti degli orologi
infedeli come bambini
curiosi come arcobaleni
preferite le scelte malinconiche alle indecisioni
perchè non ci sono ritorni- o crepe all'orizzonte
quando l'orizzonte non esiste.
*inteso come il grande Vuoto, in Angeli di Desolazione di Jack Kerouac
lunedì 19 settembre 2011
Cattive corrispondenze
a G.
Lui:
Non tacere,
non piangere
oh taci Annie
non soffrire!
Parla piano, parla bene
che vergogna Annie
non farti del male
non volerti bene!
Mi metti a disagio
Annie copriti le braccia
copriti le visioni
copriti il cuore
la Luna non mi fa dormire
copriti i pensieri Annie
la confusione non mi fa dormire
frena le allucinazioni
la strada mi mette a disagio
la luce mi fa corrucciare il viso,
non soffrire al buio
non è elegante Annie
non affacciarti dai miei sogni
non è sicuro.
Lei:
Conservare gli sguardi è come trattenere il rumore in una tasca.
Mi seguirai solo quando i fiori impareranno a parlare?
Insegnare la buona educazione all'istinto è come tentare di ammaestrare i silenzi.
Quante volte ti è capitato di voler parlare ad un barbone musicista?
Quante volte lo hai fatto?
Se la risposta è MAI dovresti iniziare a preoccuparti per la tua anima.
Oh già, le visioni ti turbano!
Ho sognato che me ne stavo a fischiettare, mani in tasca, in riva al Tennessee.
Mi stupisce la tua capacità di andartene, andartene senza essere mai arrivato- ed io arrivata da sempre, cerco d'ingannare l'immobilità girovagando per le strade di città che non ho desiderato conoscere.
Cosa hai pensato ogni volta che non mi hai seguita?
Dovevamo camminare insieme. Tu dovevi salvare il mio cappello dagli sconosciuti ed io avrei salvato i semafori dai tuoi sproloqui.
Il tuo silenzio questa mattina mi percuoteva come l'Ange Heurtebise faceva sanguinare l'ispirazione di Cocteau.
Quando cercavo di mostrarti come nascono le poesie, tu collezionavi epitaffi nella tua agenda.
Dire la verità non è urlare.
Queste idee sono le amanti cattive.
Contemplarti sapendo che non te ne saresti mai accorto è stato come tratteggiare il Vuoto, o riprodurre paesaggi di Hokusai.
Ho smesso, incapace di tale fardello.
Le mie preghiere non sono coralli di beatitudine,
le mie braccia non sono coralli di rami lunari*;
digerita quest'idea creveliana, attendo.
Tu non mi sfiori.
Ti sei mai arreso? Hai mai vinto?
Sì è una domanda trabocchetto.
Coprirmi con i tuoi vestiti non mi renderà invisibile.
Coprirmi con silenzi irati non mi renderà meno invasiva; come se leggendo Kaddish sottovoce, il pianto dei lunghi versi americani si accorciasse!
In fondo qui nessuno si è arreso. Nessuno di noi ha vinto.
Abbiamo litigato. No, nessun miracolo.
Abbiamo fatto l'amore. No.
giovedì 28 luglio 2011
Tutti i fiori nel tempo tendono verso il Sole
Lei aveva appoggiato il naso contro il finestrino, seduta nel sedile posteriore, e canticchiava un motivetto, sempre lo stesso, ancora e ancora.
"Sai cosa mi affanna più di tutto?" disse facendo scivolare l'indice sul vetro, provocando uno stridio fastidioso "non poter conoscere o almeno presentire dove vanno a finire i morti tristi."
"I morti tristi?"
Anne si girò di scatto cercando lo sguardo di Frederic sullo specchietto retrovisore. Non si fidava della sua voce quando doveva spiegare qualcosa di veramente fondamentale.
"Sì!"
"E quante categorie di morti ci sarebbero?"
"A mio avviso due, i morti tristi ed i morti quieti o felici, non sono sicura sulla esatta definizione da usare, ma poco importa. Fatto sta che questi ultimi muoiono perché è arrivato il loro momento, si è compiuto un ciclo, un percorso, un destino, chiamalo come credi. Invece i morti tristi se ne vanno perché non possono fare altrimenti, non c'è altra scelta per loro..." e divenne cupa come se fosse stata una forza estranea a costringerla a fare quel discorso, così penoso per lei.
"E' un discorso sul suicidio per caso?"
"Ma no! Oh vai al diavolo."
Anne ripiombo' sul sedile e rimase immobile con le braccia incrociate sul petto. Tra i campi ancora un contadino. Nel cruscotto una bustina di croccantini al mais che nessuno avrebbe finito di mangiare. Lui era certo di poterla comprendere. Lei si rammaricava di aver scovato così a fondo in se' stessa da convincersi che era impossibile conoscersi. Lui la prendeva molto seriamente ma a volte preferiva percepirla invece di interrogarla. L'analisi su Anne gli sembrava un'attività più volgare dell'astrofisica. Lei sperava in un avvenimento stupido, di quelli che occupano il tempo dei passeggeri per il resto del viaggio. Lui non poteva aspettare.
"E come fai a sapere dove vanno a finire i morti felici?"
"Non lo so" disse lei come se si aspettasse la domanda, e con movimenti impacciati, senza smettere di parlare, passò nel sedile davanti "pare che le anime siano particolarmente capaci di cogliere cose apparentemente inesistenti. Questione di reciprocità, credo...No, fammi spiegare meglio, io non so dove vanno a finire e per di più non mi pongo questa domanda. E' significativo, non credi?"
"Credo che il tuo entusiasmo mi voglia far dire che credo, ma mi confondi..."
"Ma è semplice, non mi pongo la domanda, ma questo non vuol dire che non m'importi, giacché da domani potrei far parte della squadra, e sarebbe, come dire, rassicurante sapere dove si va a finire. La questione è che evidentemente l'anima percepisce. Io non so, ma l'anima percepisce ed è quieta" seguitò così a spiegargli, gesticolando eccessivamente, toccandogli il braccio quando il suo sguardo si assentava qualche istante per curarsi della strada. I bambini seduti maleducatamente nei sedili posteriori delle auto che passavano nelle corsie accanto facevano le smorfie, ma non attirando la loro attenzione, si giravano un po' stizziti, un po' confusi "..ed il pianto è quasi buono, quasi illuminante. Ogni morto felice ci avvicina al satori. Il dolore per loro è gentile, benefico. Dove vanno a finire non importa. Importa sapere che non sono stati tali dolori ad ispirare fughe di adolescenti nei boschi, che non sono stati tali dolori ad ispirare le bombe in versi, che non è stata tale nostalgia ad ispirare il Nocturne n.20 di Chopin, non sono stati tali dolori ad espandersi sul petto di Lucien* come un cancro."
Lui avrebbe dato tutto per vedere le visioni che le facevano corrucciare la fronte, Frederic sapeva che Anne vedeva tutte quelle cose. Lei non sapeva niente, ma non mentiva. L'orizzonte era così denso e scuro, mai la parola orizzonte era apparsa così inappropriata per quella parte di cielo, avrebbe pensato Frederic.
"Invece i morti tristi inquietano la mia anima. Un turbamento così violento che credo di non poter sopportare ancora a lungo. Dove, dove, dove vanno a finire?"
Certe volte le veniva da piangere così, senza motivo. E per non cedere all'ipotesi tanto plausibile della crisi di nervi, si consolava con Cioran°, che aveva letto in una di quelle squallide edizioni con aforismi d'autore. Ma sapeva che era tutta una sciocchezza, un gioco del nostro egocentrismo, ritrovarsi nelle frasi dei grandi pensatori ed elevare queste ad assolutismi come fossero formule di chimica. Era forse giunta alla saggezza intima, che altro non è che vacuità? Sciocchezze, ancora sciocchezze, lei voleva sapere, solo sapere!
"E' come se smettessero davvero con tutto..."
"Che dire, sono morti!"
Riuscì a farla sorridere. Frederic non avrebbe mai potuto competere con quel suo continuo giocare con il limite delle sensazioni, quel continuo forzare il proprio petto. Allora faceva il suo clown, faceva l'aquilone nel suo cielo furioso. Erano come un vecchio saggio cinese ed un samurai. Se avessero unito il riso sonoro di uno con la passione dell'altro, avrebbe forse creato l'uomo perfetto.
"Ma no! Il vuoto che creano non è malinconico, è straziante, selvaggio ed allo stesso tempo così impercettibile da far paura. E' come se si trascinassero dietro di se' anche le loro vite. Un abisso, un abisso. Un abisso."
"Ho capito cosa vuoi dire, anche se sono un po' perplesso riguardo alla categorizzazione dei morti."
"Posso mangiare la mela che c'è nel sacchetto?"
"Sì, puoi."
"Ho passato anch'io molto tempo a lottare contro le perplessità. Ero così sciocca."
Frederic rabbrividiva ogni volta che la sentiva parlare al passato di se' stessa, e capitava spesso. La guardava. Anne sperava che la smettesse di farlo, ora che non era più in grado di accogliere la bellezza.
"Quali perplessità, scusa?! Esistono le persone tristi, dolorosamente sole e incomprese, come esistono le persone felici. Perché dovrebbe essere diverso per i morti? E non mi tirare in ballo la vecchia storia del Paradiso eh!" lo minaccio' seriamente avvicinandogli la mela affinché anche lui potesse darle un morso.
Proprio nell'esasperazione dei capricci promanavano da Anne questi gesti di tenero affetto, così spontanei da far confondere il destinatario. Il tutto durava qualche istante, il tempo di una brusca frenatura e si ritornava alla realtà. Code all'uscita dall'autostrada. In lontananza un gruppo di persone si era radunata davanti alla piccola chiesa di paese. Una macchina rossa ferma al passaggio a livello.
"E se scendessimo a fregare qualche pesca?"
Avrebbe voluto essere Anne a suggerirlo.
"Solo due però!" disse con tono quasi offeso. Indugiò in auto a guardare Frederic che scavalcava il guardrail.
"Vieni su! Il tuo finto senso civico..." e sparì tra gli alberi di pesco.
Lei lo rincorse in quel labirinto di profumi. Il crepuscolo addolciva i colori. Il fresco serale rendeva le risate più squillanti. Anne continuava a ripetersi che avrebbe potuto amare solo un uomo semplice come il clown di Boll. Frederic avrebbe voluto dormire con lei castamente in quel frutteto. Entrambi si erano accontentati di molto meno, in passato. Ora arrossivano mentre Anne usava il vestito come grembiule per raccogliere le pesche. I belli non ce la fanno, non ce la fanno a non complicarsi l'esistenza, avrebbe detto Bukowski, con un riso allo stesso tempo caritatevole e sprezzante. Si erano sempre donati senza riserve ed ora il loro passato li schiacciava. Non desiderate mai di sopravvivere a più passati intensi: un arcipelago d'indicibile malinconia sulle mani, nel cuore.
"Sapere dove vanno a finire "i morti tristi" ti aiuterebbe quindi?"
"No" rimase un istante in silenzio e poi declamo' con aria volutamente teatrale dei versi:
Crepi nel balzo, per le cose inaudite e innominabili, vengano altri orribili lavoratori: cominceranno dagli orizzonti dove l'altro è crollato!°°
"Che significa?"
"Tutto. O niente. Non so."
"Allora dimmi, perché vorresti saperlo?"
"E tu perché vorresti sapere che direzione prendere all'uscita dall'autostrada?"
"Per giungere a destinazione senza problemi."
"Appunto!"
"Appunto cosa, non capisco..."
"Posso aprire il finestrino?"
Proseguirono in silenzio. Quando lui guardava la strada, lei guardava la strada. Quando lei guardava fuori dal finestrino, lui guardava la sua nuca. Quando lei guardava lui, lui guardava la strada. Lei gli allungò un'altra pesca e rumorosamente, con gesti poco rassicuranti, gli indicò la direzione da prendere all'uscita dell'autostrada. La SS9 era trafficata. Aveva appena smesso di piovere. In una tabaccheria con la serranda per metà abbassata si festeggiava. Forse una di quelle vincite con i numeri che ne' Frederic, ne' Anne avevano mai sperimentato. Ad una rotonda un ragazzo con un camioncino arancione vendeva piante da giardino. Lei lo avrebbe accompagnato nell'albergo dove lo attendevano e sarebbe corsa a casa a farsi un caffè, magari ascoltando un po' di musica francese. Anne taceva, Frederic la guardava. Lui sperava di rimanere ancora per molto. Lei pregava che fuggisse per sempre.
NOTE
*Protagonista del romanzo Illusioni Perdute di Balzac
°"Non c'è che un segno, forse, ad attestare che si è capito tutto: piangere senza motivo"
°°da Lettera del Veggente di Arthur Rimbaud
sabato 23 luglio 2011
La donna di Blake
Leggevo Opinioni di un Clown, non mi ero nemmeno alzata dal letto tutto il giorno questo sabato- sembrava così tragicamente quieto. Mangiavo una pesca, quando arrivò la telefonata che non riuscirò mai più a dimenticare: "Nou Nou, lo hai saputo?"
Silenzio...
Non so quando riuscirò a smettere questo pianto. Vorrei tanto poter baciare i suoi finti capelli mille volte, o accenderle una sigaretta. Quante volte l'ho temuto, e mentre tentavo di non pensare a ciò che pensavo, di notte tremavo.
E dire che poco tempo prima avevo commentato il video del suo ultimo concerto a Belgrado: "Cristo, un genio vi sta morendo davanti, vi regala tutta la sua più profonda disperazione e voi pretendete il rimborso del biglietto?"
Questo non è un giorno...almeno non un giorno che io posso sopportare.
mercoledì 20 luglio 2011
Le cose che non potro' mai essere
La lavapiatti al Sin'é- che nasconde un bicchiere di vino sotto il lavello- mentre la voce di Jeff Buckley rimbomba in sala
La tazza da caffè di Balzac
a. il bersaglio di William Burroughs per il suo shooting paint
b. uccidere la sua scimmia sulla schiena e prenderne il posto
d. la notte di Tangeri mentre la roba gli scorre nelle vene
Porgere la spada a Mishima
Pulire il cappello di Henry Miller mentre scrive della spada di Mishima
L'infermiera che tira le tende mentre Gregory Corso sviene sopra il corpo appena deceduto di Ginsberg
Il gondoliere che trasporta George Sand e De Musset
Il nervo malato di Van Gogh
Il giocattolo preferito di Mozart
Uno dei numeri scarabocchiati sul muro che Alda Merini non richiamerà
Un prigioniero che piange all'alba mentre Chet Baker suona la sua tromba nel carcere di Lucca.
Una gonna a fiori per Nina Simone, o la sua migliore amica
Una corona di luce sulla testa di Basquiat
La felicità bipolare di Anne Sexton
Un canto quieto all'orecchio di Bird
Lo sconosciuto che Whitman attendeva sulla grande grande strada americana
Il vero destino di Luigi Tenco
I sogni di fuga di Dino Campana
Una buona visione nello straziante oziare pomeridiano di Verlaine
Un capello bianco sulla spalla di Kerouac
un capello bianco sulla spalla di Kerouac
un capello bianco sulla spalla di Kerouac
mercoledì 6 luglio 2011
Canzoni sui tetti
Quando mischiavamo mani e anime
era come decapitare silenzi secolari
"Scriviamo una favola", dicevi
e cantavamo a lungo sui tetti
- troppo svegli nel tardo pomeriggio-
La favola avrebbe terrorizzato i bambini;
ma noi non lo eravamo più,
sapevamo mentire a noi stessi.
"Non c'è bisogno di spiegare", dicevo
mentre tardavamo a stiracchiarci sui tetti
il tramonto a Montmartre
si stendeva lento e profumato
sui nostri sogni in ginocchio -
come una gonnellina a fiori
si posa sulla bocca
di un innamorato senza speranze.
Vola, vola, pareva gridare l'orizzonte
mentre i musicisti di strada
singhiozzavano
ed i maitre nelle brasserie
non avevano tempo per noi.
domenica 3 luglio 2011
Città a tua immagine ed assenza
Raccontami vecchie storie;
di quelle dove io riesco sempre
a trovare la strada di casa
e tu vuoi sempre baciare
il mio ubriaco piagnucolìo.
Di quelle vecchie storie in cui
quando il battito impazzisce
sotto l'occhiello ornato di fil di ferro,
tu ti svegli e mi prendi per mano.
Ho atteso, ho lasciato che altre mani
giocassero a dadi con i capricci
deformi dei miei destini,
e quando la città sbadigliava
con una discrezione quasi mistica,
mi sono lasciata inseguire dal fumo
di sigaro di un assessore alla cultura.
Guardarti era un timore catartico
allora correvo negli angoli dove
la memoria come un pulviscolo luminoso
stravolge curve pietre altezze cieli e colori;
così ricostruivo
città a tua immagine ed assenza.
Tu non t'accorgevi
come il cuore sudava preghiere
sotto la giacca sgualcita,
come una sposa indispettita
imprigionavi la mia tragica esitazione
in misteriosi scrigni
e facevi di me, lo specchio
di ermetiche effusioni.
Di notte costruivi altari
di bisbigli e labirinti corporali,
di giorno, allontanandoti,
disfacevi il mantello pelle mani oro
in cui mi rifugiavo quieta.
Mi canterai di vecchie storie,
di quelle storie dove
non servono ombrelli
per stare in due sotto la pioggia?
Oh, insegnami vecchie storie
che io possa fischiettarle di notte,
quando avrai cambiato specchio
ed io continuerò a ricostruire
città a tuo riflesso ed assenza.
lunedì 13 giugno 2011
Le bambole immaginarie di Anne Sexton
Prozac, jazz e banchieri spensierati.
Il tuo ippocampo, discarica abusiva
dei miei fiori selvaggi.
La luna cerca d'arrampicarsi più su.
Sabato sera e mi è rimasto l'ultimo bicchiere
sangue di giuda sensazioni di usato
fantasie rannicchiate in fondo ai bulbi capillari
sguardi racimolati in occasionali mercatini
di vite svendute
ed un taccuino vuoto che fingo di leggere
mentre i vecchietti del terzo piano
si preparano per la balera:
lei fruga con un cotton fioc dentro il rossetto,
lui pare dormicchi già, seduto in cucina.
Con la pioggia sono ok, mi uccide l'insonnia
la vertiginosa lucidità, avrebbe detto Cioran!
Sono travagliata da un'interiorità prolissa.
Salvami dalle inutili verità. Mentimi.
Dissolvi queste infinite barbarie della coscienza
o almeno spediscimi canzoni
la mia immaginazione è logora.
Accenderò per te le mie dita- Menorah mutilato-
accanto alla loro fiamma vergine tacerò.
Avrei voluto scriverti lettere.
Dicono che le lettere senza speranza
viaggiano nell'Universo dentro dirigibili di luce
e poi s'insinuano nei sogni delle cattive ragazze;
questa mattina facevo incubi gainsbourghiani
prima che i tuoni mi svegliassero.
Sono votata al crollo?
Può sempre essere considerata una tecnica
ma ora vieni e mentimi. Spreca parole
come chi non conosce le ossessioni.
Calma la dinamo di queste calamità
che attaccano continuamente i mei occhi, isterica,
come le bambole immaginarie di Anne Sexton
ti guarderò ancora, allungherò un braccio,
mentimi ma tienilo con te mentre dormi.
mercoledì 1 giugno 2011
Io non so disegnare- quadri di parole (2)
Le ragazze regnano
dentro i loro vestiti
colorati a tinta unita
il diavolo sbava
trattati d'indipendenza
Pomeriggi di fine primavera
nelle mani del musicista
albeggiano perversioni orientali
nel posacenere s'ergono
mozziconi di sigarette
come foreste dorate.
I barboni al parco, bocca impastata
discutono sul festival di Cannes,
uno di loro una volta stava
quasi per parteciparvi, quasi,
poi non so come finì a mangiare
sottaceti in un garage.
L'ultima passeggeriera
si scorda sull'autobus
la lettera d'addio dell'innamorato
senza averla ancora letta;
mille ricevitori al secondo
dopo un pianto soffocato
sbattono-crampi allo stomaco
di un animale estinto.
La guida al museo soffre d'acidità
di stomaco mentre i bambini mostrano
le linguacce ai quadri
ed i santi ammiccano alle sigarette
il guardiano ascolta canzoni erotiche
con l'auricolare del servizio sicurezza.
Avevano tentato di coltivare
un loro giardino, ora le erbacce
facevano da scudo nella lotta dei silenzi
e solo un fiore orfano
piangeva vicino al recinto.
Vi prego, non scambiatevi sorrisi
come fossero frutta di stagione!
Quando incontrò Vittoria dopo quarant'anni
il loro amore
sembrava un taccuino mai utilizzato.
Ci accorgiamo di non avere nessuno che ci aspetta
quando iniziamo a non preoccuparci
di perdere l'ultimo treno.
Il vuoto che si crea intorno ad un clochard
che sale sull'autobus
non è questione di ritmi naturali.
lunedì 16 maggio 2011
Predica kerouachiana
Lasciate che vi porti più vicini a dio
suvvia riempitevi le braccia di lascivia amorosa
stampatevi addosso capricci
Regnate nella memoria dei vostri innamorati
con le coroncine di Basquiat disegnate sul braccio
Non date retta agli angeli, a volte
un bicchiere di whisky fa volare più veloce
Astraetevi dalle volgari discussioni
accontentatevi di fare i microbi
tra i pori della vostra anima
Trascinatevi orgogliosi le vostre occhiaie
ma parlate al diavolo solo da dietro gli occhiali
Quando la strada vi chiama, saltate pure
dentro cerchi lunari con nemici e visioni,
ma al ritorno ricordatevi di chiudere bene la porta
Indignatevi alle spalle delle vostre vocazioni
Trovatevi sempre un luogo scomodo
dove passare le vacanze
ed elargite consigli amorosi ai baristi
Siate bambini nelle preghiere e alberi nelle maledizioni
non sottraetevi agli eccessi
sfidateli insegnando loro un coro di hallelujah
Onorate la tragicità della poesia
Tacete d'innanzi al rammarico di un vecchio musicista
lasciate che vi porti più vicini a dio
Sdegnatevi
nauseatevi delle stagioni
interrogatevi sul sacro
ridacchiate del santo
fate le api in una stanza piena di gente
fate i buddha in fila alla stazione
piangete per l'Africa
piangete per me
piangete per tutte le afriche dell'universo
e per quell'Africa che avete dentro il petto
alle spalle della quale stipulate contratti di morte
Fidatevi sempre di un uomo dalle scarpe sgualcite
Non censurate il vostro autolesionismo
Contemplate i movimenti intestinali del sole
Vegliate sul sonno embrionale del futuro
Lasciate le membra d'acciaio* ai grattacieli
al diavolo quella vergine infedele di Rimbaud
-ma siate moderni
come un fazzoletto di seta nel taschino di dio
*da Cattivo sangue di Rimbaud
lunedì 25 aprile 2011
Io non so disegnare- quadri di parole
Sono affascinata da quei giocattoli di plastica inutili
per i quali i bambini intelligenti storcerebbero il naso.
Leggo con le gambe sopra la scrivania, anche in pigiama
preferisco portare sempre il mio cappello quando bevo
non parlo e quando parlo bevo lo stesso.
Prima di passare ad'altra vita vorrei fare due passi di swing
a piedi nudi sul tappeto e poi paparappaereraraparapa.
Amo le poesie che sanno di barbarie di alcolisti sentimentali.
Non mi fiderei di un uomo che non ha mai preso un libro
in prestito dalla biblioteca di periferia di una grande città.
Nei bagni ci sono ragazze dai capelli morbidi e luminosi,
io mi trascino dietro questi cinici scarabocchi.
Ho sempre due rughe profonde in fronte
ma mai nelle situazioni tragiche.
Ci ho messo otto anni per scegliere il mio bar di fiducia
un postaccio che sembra aver vomitato sul marciapiede
sedie ornate da fiori di plastica anni ottanta
come le tette gigantesche di una albergatrice di Belleville.
La proprietaria è una ex figlia dei fiori, con un dente
che spunta più lungo di tutti gli altri quando strilla: "belloo"
Ogni volta che le chiedo le caramelle gommose
apre la scatola dal lato sbagliato facendole cadere tutte.
Finito il caffè, mi capita d'incrociare quello che era
il più figo dei rappresentanti del liceo, fa il postino,
uno come dire, dalla bellezza imbarazzante, peccato
non averlo mai sposato, non avergli mai detto una bugia.
Lucio lavora al pronto soccorso. Fa il turno della sera.
"Oh che dolce, si te quiero anche yo" dice al cellulare
mentre il suo collega continua a guidare l'ambulanza,
a lui il cellulare non suona mai, così ha finito col parlare
con i semafori e capita che manchi spesso dal lavoro.
Dicono che abbia una sindrome strana, ma Lucio lo sa,
ha la sindrome della solitudine!
Una signora dai capelli rossi entra nel negozio
che ripara scarpe e borse, una piccola bottega
dalle tende bianche ricamate, in una via sperduta
sotto l'ombra di un gigantesco albero.
Mi sono sempre chiesta come potessero andare
gli affari in quella bottega, ma una mattina presto
vidi l'anziano proprietario avanzare sereno
con la sua pipa, braccia dietro la schiena
e sguardo sprofondato nella palude del silenzio;
allora mi sono sentita molto stupida
per essermi fatta quella domanda.
Ci sarà sempre quel paio di stupidi pantaloni
che non hai mai sopportato, e puntualmente
viene fuori che sono i preferiti del tuo uomo.
Ho sempre desiderato vivere
in uno di quei condomini sperduti
in qualche giardino interno
dove si coglie sempre una frescura insolita
dove abita qualche ex-hippie dimeticato da tutti
e dove c'è sempre puzza di piscio e anti-futurismo.
domenica 24 aprile 2011
Tutte le cose inutili che queste mani hanno fatto
Perdona tutte le inutili cose
che queste mani hanno fatto,
ora stringile
non vedi come si tendono
barcollando stupidamente
poi si ritirano subito
sotto la fodera della giacca
pronunciando preghiere underground,
danzano sugli spigoli dei minuti
dalle tasche ai capelli
si sciolgono in perdoni
che non ascolterai:
stringile
e non parlare di quel folle a Parigi;
"rideva, piangeva"?
Tu stringi queste maledette mani
che pare reggano l'alcool meglio di me
e quando te ne andrai
pensa che starò ridendo come lui.
Non toccarmi con guanti e silenzi
al mattino, come gli angeli
che non hanno il diritto di svelare il Paradiso.
Non temo nulla quando ci sei, nemmeno i tuoi addii!
Non temo nulla, ma urlami solo bugie
qui nell'orecchio buono
e frena il torpiloquio dei tuoi occhi
fissi sui miei, parlami di gambe nude
e canzoni da festival...!
Al mattino non cercherò scioccamente
di scacciare il primo raggio di luce
che ti sveglierà, come potrei?
E' la tua fronte il suo nascondiglio perfetto
il suo reame più buffo
la sua arcana patria!
Non sono solita lottare contro simili amanti,
in verità non credo d'aver mai pensato
che le amanti vanno lottate,
tanto meno sconfitte!
Ci sarà qualcosa di buono che sapranno aggiungere,
o qualcosa di brutto che sapranno portar via.
Allora al diavolo, mi arrendo ma tu
stringimi le mani prima di uscire!
Una volta fuori da quella porta
non ti voltare, vivi,
potrei già essermi dimenticata di tutto
dovendo imparare a non-esistere per entrambi.
mercoledì 20 aprile 2011
Fiammifero è morto
Singhiozzi confusi
tremano in gola alla sera;
brandelli di vissuti in fuga.
Ricordi quando Fiammifero
cominciò a vedere musica in ogni oggetto?
Decise che sarebbe stata la strada la sua sinfonia.
Quali requiem
quando la Luna non si mostrava!
Neve sul palco
cori tisici
e furiose station wagon spettatrici!
Autocombustione spirituale
Qui, nella mia mansarda muta
circo di versi con stracci a fiori,
certe notti riesco a sentirlo
l'ultimo movimento, ancora e ancora
finchè non mando giù bourbon e cinismo
sfogliando la rubrica telefonica-
e quando dopo ore trovo
qualcuno che vorrebbe sentirmi,
sono io ad aver smesso di volerlo
Una luce lampeggiante è più malvagia di uno stop
Mi arrendo
un interludio si fa spazio
dentro lo stomaco si alzano scale
-piedistalli di sconosciuti monumenti sacri;
il crepuscolo è un imbuto di rimembranza
ed io un parafulmine della nostalgia
sopra un grattacielo a forma di Buddha
quando la musica raggiunge gli occhi
egli mi lascia cadere.
Ah Fiammifero!
Il jazz dei cani da pioggia* è Eco in un Sogno
*da Rain Dogs, canzone di Tom Waits, espressione usata a volte in America per indicare i barboni
domenica 3 aprile 2011
Rimbaud in volgare
Io dico, l'unica condizione creativa è un disordine psico-fisico. Con disordine non intendo il martirio dei sensi , della sensibilità, dei muscoli, della memoria fisica e psichica -che a quanto pare è l'unica sostanza vivificante dei nostri stati d'animo!
Disordine è una mancanza tale da sfiorare il tuo corpo con una dolcezza terribile. Disordine è la molteplicità dei sogni, che più dell'oppio, caricano gli occhi di visioni che non possiamo liberare in gesti. Disordine è una sigaretta che ti fuma quando tu hai smesso da settimane. Disordine è la vita dei fanciulli che scrivono con gli occhi fissi su dimensioni sgozzate. Disordine è un dialogo dove tu ti senti la stupida musica di sottofondo. Disordine è la logica ferrea, così impazzita, così terribile, così malvagia da farti dimenticare, così innocente da farti sbucciare le ginocchia nelle corse per il nessun-sogno.
Io dico, l'unica condizione creativa è un disordine del ritmo universale, che va a sbattere contro i tuoi perfetti orari, contro il tuo quadro non sbavato, contro le tue lettere in ordine A ABB ABCDEFFF. Cosa leggi? Qual'è la parola? Qual'è la verità? L'universo si scompone senza che tu ne prenda parte. Mentre le stelle si feriscono i piedini calpestando una terra infeconda, tu te ne stai in pantofole sul tuo divano della tua educata solitudine ed i muri sono così regolari. Ecco la porta e la finestra. Il sugo nel tegamino, il caffè nella giusta tazza. Asciugarsi la faccia col giusto asciugamano senza aver pianto e buona notte nel lato giusto del letto- finchè non ci morirai nel lato giusto del letto senza aver respirato poesie scritte su vecchi volantini vicino ad una fontana, vicino ad una chiesa, in una metropoli qualunque.
Non ti metterai mai le scarpe per inseguire un fantasma! Le ombre regolari sui muri sempre puliti, pantofole per l'anima immobile, la giusta tazza per la lucidità, finchè non morirai con le scarpe della solitudine sul giusto divano.
Svegliandoti con l'orario dell'Ora, mettendoti le scarpe per uscire, quando uscirai veramente?
Io dico, l'unica condizione creativa è il disordine psico-fisico. Disordine è una pace che non hai mai colto nelle lunghe mattinate passate a letto. Pace. C A E P. Distruggi la parola e poi trovala senza cercarla. DISORDINE E' UNA PACE INTROVATA. Disordine è cogliere l'atmosfera di Natale al primo freddo improvviso di ottobre nella città desolata. Disordine è il silenzio quando tutti gridano. Disordine sono le corse di bici senza padroni. Disordine è l'abitudine che riesce a commuoverti. Disordine è una foglia tra i capelli rossi di una bambina. Disordine è un pianoforte che si ubriaca*. Disordine è una fedeltà libertina. Voci davanti allo specchio- grida- sono fedele all'ignoto!-sono fedele all'ignoto!- sono fedele all'ignoto!
Disordine è un'esigenza goffa, fissare gli occhi di un pazzo, laghi neri jazz, mentre lo preghi tra il pianto: "Dimmi qualcosa su Dio", e credere davvero che lui ti risponderà.
lunedì 28 marzo 2011
R.I.N.A
"Io sono vasto, contengo moltitudini"
Walt Whitman
I.
Rodrigue passa uno stuzzicadente
nelle fessure di una finestra rotonda;
sulla nave dormono anche i gabbiani.
Igor ha sempre odiato le partenze
ed i litigi- vive solo
come l'aria pacifica del mattino.
Nancy sospira ed addenta
la mela di una natura morta
-rimpiange l'arte delle dita invecchiate-
ed io come Whitman sogno di cantare la natura
(ma non conosco i nomi delle piante)
-Attendo solo un pomeriggio sereno-
II.
Rodrigue passa nelle fessure d'una finestra rotonda
Igor odia l'aria pacifica del mattino
Nancy addenta l'arte delle dita invecchiate
ed io sognando il canto della natura-
Attendo
III.
Rodrigue
Igor
Nancy
Anch'io
- Attendiamo solo un pomeriggio sereno-
Silenzio street
Dimmi, come può il silenzio ripagarti?
Ci casco anch'io sai,
e poi piango nei bagni dell'autogrill;
mai provato?
Preferiresti strapparti il cuore
e buttarlo nel bicchiere delle offerte libere
prima di uscire.
Parlando con il portiere al Virgin Radio,
a volte dico, ha ragione Frank!
Lui non mi guarda ma scuote la testa
se ne sta a fumare spalle all'edificio
e quando il vento soffia forte
gli schizzi della fontana
luccicano sui suoi baffi
- come un gioco bizzarro della luna -
io ne approffitto per una sigaretta
in cambio di qualche confessione
-vera-
perchè sai, quei tipi
ti ascoltano davvero;
d'altronde c'è poco da fare a Milano
alle sei del mattino.
Da quelle parti ritorno spesso
per qualche secondo
mi sembra di scorgere
frantumi di me
che sanno ancora ridere
e si trascinano senza rimpianti.
Spero anche di vederlo
mentre compra il giornale,
o perde l'autobus,
bofonchiando
capelli disordinati
dita da bambino
buttare la spazzatura
- brutte abitudini, certo
ma meglio delle lettere d'amore
soprattutto quelle recapitate in ritardo
ti scaricano addosso l'umidità
di mattini istericamente appiccicosi.
Ecco perché, dico, non potrei
vivere per sempre in Silenzio Street,
quartiere Perfetti Coniugi Annoiati
che consumano poesia
il sabato pomeriggio
davanti al barbecue
e nel più intimo incontro
si grattano a vicenda la schiena
con mani di legno
e nel più intimo scontro
si fanno dispetti con carte di credito.
Preferisco il canto dei binari
-cavi elettrici-
così esili i canti
nel mio cielo ideale.
Certe volte, nel bel mezzo della notte,
nel letto di un innamorato
mi sento una mosca-
decapitata dallo stupore
per la grassa luce dell'alba-
morta sopra una pila di piatti puliti
in un ristorante chiuso per ferie.
Ti capita mai di languire
inerme così in Silenzio Street?
Dimmi come si può
distendere le gambe,
sistemare il cuscino,
ripulire con un cotton fioc
gli infiniti rimasugli
dell'ispirato vociferare da caos-
accendere la volgare tv da camera
e respirare?
In momenti così io spero solo
di trovare senza fatica le scarpe
spero in un ingorgo in tangenziale
in una fiaba di sgargianti colori al mercato
nella session sonnacchiosa dei barboni
nelle confessioni di una guardia giurata
nei lamenti delle saracinesche,
è questo il mio silenzio ideale;
ma forse caro Frank,
è tutta questione di essere invasi
dalla febbre di una nostalgia primordiale.
domenica 13 marzo 2011
Pianto del drago
Il ricordo è zazen mentale.
I nervi si piegano
tremano
e si tendono
-troppa fatica-
ma devo resistere.
Un pensiero che non ho pensato.
Ninna nanna di Edo
e la grande onda*
dall'angolo della scrivania
accarezza l'insonnia al buio,
sussurra, come voler chiedere scusa;
grande veggenza, arte terribile.
Zazen mentale
-resisto-
anche quando le membra
dolenti di compassione
mi pungono l'occhio.
Quando l'oceano
dalla lingua fredda
si estese sulla brina delle risaie,
lo so
solo il nulla dentro il nulla,
e questo non può soccombere,
ma riesco a sentire il drago celeste**
piangere
sul tetto del Padiglione d'Oro
*Quadro di Katsushika Hokusai
**Per gli adepti della setta buddistica contemplativa Chan (o Zen in Giappone), il drago rappresenta la visione fugace, istantanea, evanescente e illusoria della Verità, ed era quindi equiparato a una manifestazione cosmica. D'altra parte, per i taoisti il drago era il Tao stesso, incarnato, cioè la Via, la forza onnipresente che si rivela a noi in un baleno per svanire immediatamente.
giovedì 10 marzo 2011
Quando il sudore
Quando il sudore fu spazzato via
dai fazzoletti ricamati dei benpensanti,
quando si smise di agire in progressione
inversamente proporzionale ai colori,
quando una volta spenta la musica
la falsità
ritornò sui loro volti come pus
e lacrime dell'ultimo clown
accovacciato sul pavimento del bagno unisex,
quando gli amici paralizzati
all'idea di avventura
-macchina parcheggiata
meticolosamente
entro le strisce-
tornarono a letto
occhi sbarrati al buio
come riflessi di ragni obesi,
Lou attratta dal mistero
-anfetamina dell'avventuriero-
ritornò dallo sconosciuto
incontrato quella sera nella discorgia
degli strafatti di repressione
tra gli eroinomani dell'auto-inganno.
Con la bocca piena del passeggero di Iggy*
lo trovò fuori dal cancello,
vero
come chi non attende nessuno
e può essere ovunque.
Lei non volle sapere il suo nome,
lui chiese se era mai stata arrestata
per rapimento di innamorati,
lei guidando scorse un lampo obliquo
estendersi dall'orizzonte
fino al petto di lui-
come una sbavatura insensata
nella mente dell'artista.
Poi guidarono e guidarono
attratti dal nullaqui dell'insieme.
Sul ciglio della strada
promisero d'incontrarsi ancora
-così senza nomi-
I semafori lampeggianti
come iene metropolitane,
risero alla morte
dell'ennesimo giuramento.
martedì 8 marzo 2011
Racconto di una tentazione
Presentimenti corporali
come ombre di nuvole
basse
sull'asfalto senza fiori.
Tu chiedi
"quanto pesa, in termini di stupore netto
il mio occhio che segue fedele
il ritmo improvvisato del tuo passo"
Sembri l'ultimo degli spettatori sognanti
in un jazz bar poco illuminato di Belleville.
Dici
"ritornerà la primavera,
non è vero quello che canta Waits*,
puoi farla tornare la primavera!
Vuoi baciarmi ora?"
Ombre di nuvole basse, rotolanti
giù per la gola-
capelli da adolescenti.
"Ma baciami ora!"-
ed un esercito di fiocchi d'oro.
Come farò a non soccombere?
Da troppo tempo gli sguardi
parevano sottotitoli di un brutto film
ed ora il tuo...
Le foglie sembrano coriandoli
di un carnevale di vecchia data-
spettri della divinità Tentazione
"Bacialo ora!"
Guance rosse come morsi bambineschi al cuscino.
Potrei scostare le braccia della solitudine-
questa ragnatela d'una fedeltà fuori moda
ed appoggiare la bocca sulla tua
che scorgo solo ora
come una Luna di luglio
furiosa- in un cielo rassegnato
che se non agisco mi cadrà addosso
- uno scettico schiaccciato da un miracolo-
"Baciami ora, bambina mostruosa"
ed io con l'unghia sulla spalla dolente
"mordimi allora"- con la bocca
di rhum e saggezza- "mordimi,
le spalle, l'occhio, mordimi,
mangiami, mentimi, ma sii vera!
Fuori dal mondo sul quale dondoli
come su una giostra spenta
in un campo d'autunno..."
Ed io sulla tua bocca.
*You can never hold back spring- Tom Waits
martedì 1 marzo 2011
Sequenza

Anime incipriate-
nei pallidi mattini senza sonno
-nè suoni, nè mani-
vidi una luce non mia
e per la prima volta compresi
il tuo pianto antico
Occhi arrossati come Soli
impazziti all'ombra dei monti
***
Le loro mani al di là del vetro
-ardeva sferica leggerezza-
parabola per stelle.
Tutto l'universo sussultava allo spettacolo,
nel vento si spandevano bisbigli celesti
Tremolii del nervo d'amore
***
Jazz-improvvisazione di sassofono-
Pianto del pallido corpo, schiavo
della mia anima negra.
Oh, le partenze!
lunedì 28 febbraio 2011
Genesi

Come faccio a dirlo chiaro?
Eravamo impronta di pianeti
su luna sonnolenta.
Sopracciglia di dee - presupposti remoti
del volgare grugnito delle galassie.
Icone sfuocate della rozza fertilità.
Come faccio a dirlo chiaro?
Eravamo brina sull'erba di praterie roteanti,
bagnato sulle spalle di Dio
-quando di notte sul faro
faceva luce alle navi angeliche.
E poi, in un momento
divenimmo carne dentro la carne
strappati
nati- soli.
Nella più luminosa esplosione
persi nella ragione d'essere.
lunedì 31 gennaio 2011
Prima o poi anche le tue stesse parole smettono di esserti amiche (collage d'altrui poesia)
E-Mails - di Massimo Giardina
Adesso lo so, ma ne ero certo, le mie e-mails non le sono mai arrivate. Sono di nuovo tutte qui, nella memoria, nei miei cassetti, perche’ lei non le leggesse e io gliene parlassi…
La prima Mail era il paesaggio, lo sfondo, descritto da un qualunque punto di vista: “…Stamattina il cielo e’ coperto, fino a qualche ora fa pioveva insistentemente, ora la strada e’ bagnata ai margini e visti da casa mia i palazzi hanno l’altezza dei monumenti. Due piani piu’ sotto un mio amico sta osservando le stesse cose: le macchine che passano, i lampioni che saltano e i cancelli che c’hanno inghiottito, nelle carceri e le fabbriche dell’ozio”
La seconda Mail era nel freddo, sepolta dalla neve, tanto che mi costrinse a coprirmi meglio: “…Il mio cuore e’ il tuo cuore e le mie tempie sono il tuo tempio. Ti ho sposata come volevi, tra lamenti e sciagure. Il giardino della chiesa era addobbato a lutto, mi hai portato all’altare truccato di spine, vestito di piume, perche’ fossi per la vita, il piu’ affascinante degl’insonni che dormono senza sonno”
La terza Mail era all’essenza, mi rivelava, cosi’ com’ero in quel momento: “…Amore mio, il passato preme, grava sul presente che simula se stesso. Avatar dio sumero, mi ha innalzato alla perfezione: sara’ sempre come vorro’ che sia, sempre come non vorro’ che non sia. Resterò piegato su di me, saro’ stupendo, estetico. Mi spacchero’ dentro, per lasciarti fuori”
La quarta Mail era intuizioni, m’invitava a superarmi e a liberarmi: “…E’ gia’ da un pezzo che tengo sotto tiro l’alcolista, ma preferisco non ucciderlo ancora, solo ieri ho fatto fuori l’introverso e il comunista. Quindi non gli sparero’ finche’ tu non verrai, finche’ non mi dirai che non e’ necessario che io ritorni. Lo sai benissimo che e’ colpa mia se non ha piu’ senso, se non c’e’ letteratura, se ho un cancro nei ricordi e se del tempo che stiamo vivendo, non se n’era ancora sentito parlare”
La quinta Mail era il coraggio, rese da li’ in poi intenso ogni mio gesto: “…Vedi? Non mi curo piu’ di me, non ho paura dei divieti. Ora posso seguirti ovunque, descriverti come vecchia e bambina, trapassarti nei pensieri. Posso leggerti e impararne, parlarti di nostro figlio ancor prima che nasca, strappartelo dal seno inevitabilmente, per farne un bastardo di due madri”
La sesta Mail era appunti sparsi, che confluirono nella mia poesia piu’ grande: “…Stanotte il parcheggio della discoteca e’ affollato di carovane, i ragazzi e le ragazze indossano abiti dimessi. Si comincia a ballare gia’ prima dell’ingresso, la musica house ha tempi folk e ogni compagnia e’ come un’egira di profeti. Manchi solo tu stanotte, perche’ hai deciso di non venire, perche’ continui a rimanere da sola in casa?”
La settima Mail era negli archivi del tribunale, era la mia condanna in atti: “…Per non essere stato capace di amarti, per averti lasciata in compagnia del tuo nemico, per aver permesso che t’incrociasse al muro, per non averti soccorsa dalla noia e per non aver asciugato il sudore che ti scendeva dalla fronte. Io mi condanno alla disperazione e alla solitudine, a una faccia triste e offesa e a pallide e insignificanti poesie”
L’ottava Mail era durante la guerra, quando a un tratto sospesero i bombardamenti: “…Carissima, qui e’ ormai primavera. A casa mia mancano soffitto e pavimento, non resistono che le pareti. Mi ha scritto quel mio amico del quale ti avevo parlato, lui e’ sempre piu’ convinto che non sia poi cosi’ necessaria una risoluzione del conflitto. Due piani piu’ sotto le cose non gli vanno malissimo: nel suo computer non ci sono virus, il televisore e’ funzionante e la radio manda ancora la sua musica preferita. Da te invece continuo a non ricevere notizie, spero solo che tu stia bene e che fuori di te siano ancora in grado di mantenere la pace”
La nona Mail era la sintesi, l’ennesimo confronto, con lei e con la prepotenza della realta’: “…Vorrei ridere, dimenticarti, ma non ci riesco. Ultimamente credo di aver capito alcune verita’ fondamentali: l’umanita’ e’ matematiche scomposte, ho letto pochissima narrativa moderna, a un sorriso corrisponde un sorriso, lo schiavo pasce il padrone e il padrone vola, privo di gravita’ nella storia, neutro e assente nel tempo”
La decima Mail era l’ultima e l’ultima Mail era la sua ultima parte: “…E poi a questo punto sono riuscito a smettere con molte cose: ho smesso di tirare la gonna a mia madre e ho smesso di farmi pestare da mio padre, ho smesso di sollevare il braccio sinistro con il pugno chiuso e quello destro con la mano aperta, ho smesso di bere e ho smesso di mangiare, ho smesso d’essere il migliore e ho smesso d’essere il peggiore. Quindi non mi sara’ difficile smettere di scriverti, non mi sara’ difficile smettere di scriv...

Amo- di Majakovskij
Che cosa ne è venuto fuori,
più di quanto fosse possibile,
più di quanto fosse necessario
come
in un sogno un incubo poetico,
quel groppo del cuore crebbe come una montagna:
una montagna d'amore,
una montagna d'odio.
Sotto il peso,
le gambe
traballavano.
Sai
se io
sono ben piantato,
eppure
mi trascino ridotto a un'appendice cardiaca
curvo per tutta la larghezza delle spalle.
Mi gofio col latte dei versi,
non riesco a spargerne fuori;
non c'è chi ne voglia, pare, e di nuovo mi gonfio.
Mi ha spossato la lirica,
nutrice del mondo,
iperbole
del prototipo di Maupassant.
Tu
Poi sei venuta tu,
e t'è bastata un'occhiata
per vedere
dietro quel ruggito,
dietro quella corporatura,
semplicemente un fanciullo.
L'hai preso,
hai tolto via il cuore
e, così,
ti ci sei messa a giocare,
come una bambina con la palla.
E tutte,
signore e fanciulle,
sono rimaste impalate
come davanti ad un miracolo.
"Amare uno così?
Ma quello ti si avventa addosso!
Sarà una domatrice,
una che viene da un serraglio!"
Ma io, io esultavo.
Niente più
giogo!
Tom Waits & Rickie Lee Jones




Inno- Jack Kerouac
(...)
E' stato allora che mi hai insegnato le lacrime, Ah
Dio in quel mattino,
Ah tu
E io appoggiato al lampione mi asciugavo
gli occhi,
gli occhi,
nessuno sa che ho pianto
o che me ne importasse qualcosa
ma Oh ho visto mio padre
e la madre di mio nonno
e le lunghe file di sedie
e balie di lacrime e morti,
Ah io sapevo Dio che Tu
concepivi per me migliori progetti
Pertanto qualunque progetto tu per me concepisca
O suddivisione di maestà
Falla corta
breve
falla rapida
portami a casa della madre eterna
oggi
Comunque al tuo servizio,
(e fino a quando)
domenica 23 gennaio 2011
Canzone sentimentale
Ammetto di averlo fatto
nelle notti d'inverno
spiegazzati ho nascosto i tuoi occhi
sotto il cuscino
dentro il portapenne
in una poesia
dentro la busta arancione
dei vecchi biglietti da viaggio
e mentre dormivi
tra una tazza di caffè
ed un verso russo
baciavo l'ombra delle tue braccia
-vibrazioni di vecchio sax-
Miller, Van Gogh, Platone,
Einstein
le nuvole
le Costituzioni
ed i Cioccolatini alla grappa
ascoltaci, gridavano!
Ma le mie libertà
trovavano il loro confine
naturale, nel tuo passo.
E poi c'era L. Cohen
l'ebreo senza barba
il cuoco buddista
lo ascoltavo a lungo
ogni volta che partivi
spinto alla coerenza universale
attratto dalla tragicità
come uno stupido fiore
dal Sole biblico-
quale angusta metafora
di solitudine e perfezione!
-la bellezza disarmonica di un piano funky-